Pd, lo stallo di un partito in eterna attesa

di Massimo Adinolfi
Domenica 18 Novembre 2018, 08:00
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Dal tavolo della presidenza, con voce calma, Matteo Orfini chiede attenzione mentre ilustra i passaggi che, a norma di statuto, debbono portare il Pd al congresso. La corsa verso l'elezione del futuro segretario comincia così, con il problema di catturare l'interesse di delegati svagati e anche un po' annoiati. Che l'assemblea nazionale dovesse solo celebrare il fischio d'inizio, e che dunque non si sarebbe andato oltre le previste formalità si sapeva. Ma, coi tempi che corrono, finisce che uno si chiede perché allora non limitarsi a un tweet. Twitta il presidente Trump, twitta papa Francesco, twitta persino Giuseppe Conte, che certo non è il più appariscente dei premier: non avrebbe potuto sciogliere con un tweet l'assemblea nazionale del Pd anche il suo presidente, Orfini?

In realtà, i democratici tengono alla loro differenza: sono un partito, hanno uno statuto e degli organi elettivi, si riuniscono e discutono. Tutto molto apprezzabile e meritorio, di questi tempi, se però qualcosa della discussione in corso parlasse al Paese. Che così non sia lo ha riconosciuto anche il segretario uscente Martina, con molta onestà: «Tutti avvertiamo l'insufficienza del lavoro fatto sin qui». Ivi compresa va aggiunto quella dell'assemblea nella quale parlava. E forse va detto pure solo che tutti si chiedono anche quando sarà che la politica tornerà a gonfiare le vele del Pd.

C'è già stata, all'opposizione, una nave che rimase a lungo immobile in mezzo al mare: «Eravamo al largo delle Antille, procedevamo a passo di lumaca, sul mare liscio come l'olio con tutte le vele spiegate per acchiappare qualche raro filo di vento». Settimane, mesi, anni: la nave rimane al largo, i marinai ripuliscono le spingarde e lavano il ponte, ma le vele continuano a «pendere flosce nell'aria senza vento». Quella nave era il Pci, e chi ne fece il racconto era Italo Calvino, che un mese dopo aver pubblicato quella parabola marinara, nel '57, lasciò il partito, accusandolo di non riuscire a schiodarsi dagli ordini del suo capitano. Ma almeno lì il capitano era Togliatti, e muoversi voleva dire mollare l'Unione Sovietica e lo stalinismo. Oggi, invece, lo stallo dipende tutto da ragioni interne. Allora era una decisione strategica e una scelta di campo, oggi è un'indecisione e una difficoltà a tenere il campo, e nessuno capisce più per chi o per cosa bisogna navigare.

Le metafore restano metafore, ma un potenziale euristico ce l'hanno: qualcosa fanno vedere, e capire. Nelle ultime settimane ci sono state: le elezioni di midterm negli Stati Uniti, l'accordo Regno Unito-Unione europea e le susseguenti dimissioni di quattro ministri del gabinetto May; le lettere scambiate dal governo italiano con la Commissione, in un orizzonte sempre più chiuso alla trattativa fra Roma e Bruxelles. Nel mentre, la maggioranza non sembra più solida come all'inizio di questa esperienza, e le occasioni di conflitto fra Lega e Cinque Stelle si moltiplicano.

Tutto, insomma, sembra muoversi nel vasto mondo; quasi nulla nel Pd. Certo, c'è il nodo delle candidature, per cui si vivisezionano le parole di Minniti, che rinvia ancora l'annuncio della sua corsa alla segreteria, mentre Zingaretti cerca di sollecitare la più ampia partecipazione alle primarie togliendo di mezzo i due euro che ogni elettore è chiamato a versare per finanziare il partito. Fa notizia l'assenza di Renzi che ha scelto di non partecipare ai lavori dell'assemblea (vuol dire che prima o poi molla tutto e se ne va? Vuol dire che lui per primo a questa assemblea non crede?), e la delegata che vorrebbe mandare tutti i dirigenti a casa: una parte in commedia che, ormai, cambiano i nomi ma si trova sempre qualcuno disponibile a recitare in una riunione del Pd.

Che altro? Nient'altro. Quando il congresso sarà celebrato, sarà probabilmente trascorso un anno dal 4 marzo, e il Pd si sarà dunque preso tutto intero il suo anno sabbatico. Il fatto che subito dopo ci saranno le elezioni europee, e che non è detto affatto che il quadro politico rimarrà immutato, in Italia e in Europa, non sembra suggerire a nessuno dei suoi leader particolare fretta. Il paradosso è che per tutti i democrat di qualunque fede tendenza e orientamento le prossime elezioni hanno un significato epocale, sono le più importanti che si siano mai celebrate per il Parlamento di Strasburgo, sono da paragonarsi a quelle dell'aprile del '48 in Italia (e poi non dimentichiamolo! c'è il fascismo alle porte): com'è che allora si continuano a celebrare, in assemblee così pletoriche, riti così estenuati?
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