Pd, Zingaretti al Mattino: «Al Sud andrà il 34% del Recovery fund»

Pd, Zingaretti al Mattino: «Al Sud andrà il 34% del Recovery fund»
di Adolfo Pappalardo
Venerdì 4 Settembre 2020, 08:23 - Ultimo agg. 17:35
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«Azzerare il divario tra Nord e Sud è prioritario per il Pd», precisa subito il segretario nazionale democrat Nicola Zingaretti che, pure, non nasconde che negli ultimi anni ci siano state sperequazioni con la spesa storica e spinte nordiste anche nel partito. E sui miliardi in arrivo per il Recovery Fund chiede di «concentrarci su pochi cantieri strategici». E più che il Ponte sullo Stretto mette tra le priorità le aree industriali: «La riconversione dell'ex Ilva di Taranto e Pomigliano, che può diventare uno dei più grandi poli europei della mobilità elettrica».

Segretario Zingaretti, Il Mattino da settimane sta portando avanti, numeri alla mano, una campagna che dimostra come negli ultimi venti anni la spesa pubblica italiana abbia penalizzato il Sud. Ma non le sembra che nel Pd sia invece diventata predominante, alla vigilia della distribuzione dei fondi del Recovery, una questione settentrionale?
«Abbiamo la grande occasione di disinnescare finalmente un lunghissimo conflitto tra Nord e Sud del Paese che ha fatto male a tutti. Esiste una grande questione Italia che oggi, grazie al Recovery Fund e alle altre importanti risorse europee, possiamo affrontare con un progetto unitario, coerente con i processi di riorganizzazione dell'Europa post Covid e adeguato ai grandi cambiamenti dell'economia globale. Azzerare il divario tra Nord e Sud, tra zone ad alto tasso di sviluppo e servizi e le tante periferie geografiche o sociali, è interesse nazionale prioritario. Ed è una missione di cui il Pd si fa garante in Italia e nel governo. Una missione che conviene a tutti, anche a chi vive o fa impresa a Nord».

Tra le linee guida del governo Conte 2 sono espliciti i riferimenti ai livelli essenziali delle prestazioni e al fondo di perequazione per garantire a tutti la medesima qualità dei servizi. Eppure, dati alla mano, continua la sperequazione tra le due parti del Paese anche con la distribuzione dei fondi dei decreti Covid.
«L'emergenza Covid non è stata una livella: ha colpito in maniera differente il Paese, aumentato disparità e tolto il velo sugli insopportabili squilibri che esistono in Italia. Pensiamo solo a che cosa ha significato per tantissimi ragazzi del Sud non aver avuto la possibilità di dare continuità ai processi formativi, in mancanza di connessioni digitali. Ora quindi il nostro sforzo deve essere orientato in primo luogo a innalzare la qualità dei servizi essenziali in quelle parti del Paese dove essi sono più carenti. Scuola, asili nido, infrastrutture materiali e digitali, sanità. Questi sono i grandi pilastri su cui ricostruire un Paese più giusto dopo l'emergenza. Ecco perché credo che anche la battaglia per accedere ai fondi del Mes sia fondamentale, soprattutto per il Sud: proprio la pandemia ha mostrato che servono investimenti adeguati sulle strutture e sulle tecnologie della sanità, con l'obiettivo di garantire in ogni territorio del Paese, a tutti, cure e assistenza di qualità».

Dopo le regionali c'è da affrontare il nodo della decontribuzione. Deve essere solo al Sud magari accompagnato da incentivi a chi vuole investire in questa parte del Paese o a tutto il territorio nazionale?
«Far ripartire il lavoro è fondamentale. In questi mesi, con il potenziamento degli ammortizzatori sociali e il sostegno alle imprese, abbiamo evitato che ci fossero conseguenze ancor più pesanti in termini di perdita di posti di lavoro. Ora però serve uno scatto in avanti. In questa fase sono decisivi gli incentivi sia per chi riassorbe i lavoratori in cassa integrazione che per chi pianifica nuove assunzioni. Dobbiamo aumentare il tasso di occupazione principalmente di giovani e donne, e in particolare al Sud, che è il territorio che più ha bisogno di creare nuovo lavoro e attrarre investimenti. In questo senso, la decontribuzione rappresenta certamente una spinta importante e positiva. Si può estendere a tutto il Paese, ma credo sia strategico comunque immaginare forme di incentivi per attrarre investimenti nelle zone più arretrate».

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Per il Recovery Fund si prevede un maxi stanziamento di circa 209 miliardi. Ma l'elenco delle spese stilato è lunghissimo. Anche il Ponte sullo Stretto di Messina. Quali sono invece a suo avviso le priorità?
«L'Italia sarà il principale beneficiario delle nuove risorse europee, con 209 miliardi di euro. Una vittoria dell'Italia e del Pd, dato che nostri rappresentanti come il commissario europeo Gentiloni e i ministri Gualtieri e Amendola hanno dato un contribuito determinante per ottenere in Europa strumenti impensabili fino a poco tempo fa, come il Recovery Fund, il Sure, il muovo Mes senza condizionalità. Ora abbiamo un'occasione storica per modernizzare il Paese e affrontare i problemi strutturali che hanno limitato per anni le nostre potenzialità. A mio avviso bisogna concentrarci su pochi cantieri strategici. Per quanto riguarda il Sud, credo che la grande sfida sia quella di trasformarlo nel cuore ecosostenibile dell'Europa: penso alla grande sfida della riconversione dell'ex Ilva di Taranto, con l'acciaio green, a cui destineremo importanti risorse europee; penso a Pomigliano, che può diventare uno dei più grandi poli europei della mobilità elettrica; penso alla risorsa dell'agroalimentare bio e di qualità, su cui il sud può rafforzare un ruolo di leadership continentale; penso ovviamente anche alla produzione di energia green, a partire dal fotovoltaico. È un processo necessario, che renderà il Sud più competitivo e porterà anche importanti benefici diretti alle persone: nel piano per il Mezzogiorno presentato dal governo, per esempio, sono previsti gli Ecopoli urbani proposti dal ministro Provenzano e il reddito energetico per le famiglie, che grazie a impianti di autoconsumo aiuterà in particolare le fasce della popolazione a basso reddito a risparmiare sulle bollette».
 



Proprio sul Recovery fund, appena Conte è tornato annunciando i fondi, Bonaccini e Martina hanno chiesto al governo di non disperdere le risorse e a concentrarle nelle regioni che costituiscono, economicamente e produttivamente, la locomotiva d'Italia. Con i vagoni del Mezzogiorno a traino.
«Dobbiamo pensare all'Italia come un grande Paese vario, complesso, con tante diverse vocazioni da valorizzare. Io credo che il Sud possa dare un contributo straordinario allo sviluppo dell'Italia e dell'Europa. Se proprio vogliamo parlare di treni, allora immaginiamo un Paese ad alta velocità, coeso e connesso. Investiamo sulle infrastrutture ferroviarie: la Salerno-Reggio; la Taranto-Battipaglia; la chiusura dell'anello ferroviario in Sicilia. Il piano per il Sud che ha presentato il governo, con il contributo determinate del Pd, prevede opere infrastrutturali appaltabili entro il 2021 per 33,5 miliardi di euro. Nel triennio 2020-2023 il governo prevede una spesa pari a 21 miliardi con un 65% in più rispetto al triennio 2016-18. E oltre 123 miliardi fino al 2030. E naturalmente un impegno senza precedenti sulla sfida digitale, su cui finalmente l'Italia ha fatto un grande passo in avanti con l'accordo per la rete unica».

Applicando il criterio della spesa storica ai 209 miliardi promessi dall'Europa le risorse verrebbero ripartite nella misura del 28 % al Sud e 72% al Nord là dove la ripartizione, in base alla popolazione, dovrebbe essere del 34% al Sud e del 66% al Nord. Non crede sia arrivato il momento di archiviare questo criterio?
«Con questo governo il Mezzogiorno è tornato protagonista degli investimenti pubblici e lo sarà anche per le risorse del Recovery Fund. Nella legge di Bilancio 2020 abbiamo semplificato le regole e dato attuazione alla clausola del 34%, un principio fissato per legge, che era rimasto solo sulla carta e che prevede proprio che al Mezzogiorno debba essere destinato il 34 per cento della spesa ordinaria in conto capitale della P.A. secondo un criterio di proporzionalità della popolazione residente. Una norma giusta che il governo precedente a trazione leghista aveva disatteso. Salvini cerca di far dimenticare la sua storia politica, ma il rispetto di questa semplice condizione, solo per il 2018, avrebbe generato 3,5 miliardi di euro di maggiori investimenti nel mezzogiorno».

Alla vigilia di Ferragosto una decina di parlamentari Pd hanno firmato un documento sul Mezzogiorno denunciando il ritardo economico del Mezzogiorno è, al tempo stesso, inaccettabile e ingiustificabile. Citando dati e cifre lanciano un grido d'allarme. C'è un progressivo disimpegno della politica economica nazionale verso gli interventi di riequilibrio territoriale ha indebolito il mercato interno dei settori produttivi delle aree più forti del Paese, scrivono. Ma per ora sono rimasti inascoltati. Cosa faranno i vertici del Pd?
«È un allarme che va raccolto, anche perché proprio questa settimana Svimez ha confermato il rischio di un conto Covid pesantissimo per le regioni del sud.
Ma non cadiamo nell'errore di Salvini e dei sovranisti: siamo nell'epoca delle grandi catene del valore e dell'iperconnessione. Il Pd è un grande partito nazionale ed europeo che combatterà dal Nord al Sud per connettere il Paese con infrastrutture di trasporto e digitali; per rafforzare il tessuto di imprese e industrie puntando su produttività e innovazione. Combatteremo per la scuola e per la formazione continua, per cancellare la vergogna di tassi di dispersione scolastica senza paragoni in Europa. Combatteremo per le nuove generazioni e per la sostenibilità ambientale come enorme occasione di sviluppo. Sono grandi battaglie politiche che riguardano l'intero Paese, ma che naturalmente richiedono una grande mobilitazione in particolare del meridione. Noi le sosterremo con ogni forza».

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