Dalla piazza al palazzo il gioco si complica

di Mauro Calise
Venerdì 23 Marzo 2018, 09:50
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Non sarà facile sbrogliare la matassa dell'elezione dei presidenti delle Camere. Per due ragioni, una fin troppo evidente l'altra meno, ma forse più pesante. La ragione ben visibile, anche se finora camuffata dall'euforia dei vincitori, è che i numeri per soluzioni lisce non ci sono. Ai tre poli che sono stati in lizza durante le elezioni, se ne sono già aggiunti altri due. Interni al centrodestra e al Pd. Gli unici a restare uniti almeno finora sono i cinquestelle. Anche se già nel rifiuto alla candidatura di Romani qualche crepa si è potuta intravedere. 

Ma le crepe ben più vistose si sono aperte, immediatamente, tra la Lega del mattatore Salvini e le truppe di Forza Italia rimaste fedeli a Berlusconi. Che, dopo una partenza difficile, sembra riuscito a recuperare l'iniziativa. Almeno per il round in corso. Idem per i democratici. L'intervento rabbioso di Renzi ha messo in difficoltà momentanea l'ala trattativista che già, con la benedizione del Colle, si preparava a flirtare con Di Maio. E, per il momento, il Pd pare compatto dietro il suo ex-segretario. Ma quanto a lungo potrà restare completamente fuori dai giochi? Nessuno si sorprenderebbe se rotto l'asse più pericoloso, quello in fieri tra Di Maio e Salvini il Pd si ritrovasse diviso tra un'anima che guarda verso destra e una che vorrebbe andare, in qualche modo, nella direzione opposta.

A complicare ulteriormente il quadro c'è il peso che hanno assunto le due cariche in questo frangente politico. Intendiamoci, nel nostro ordinamento fortemente parlamentare, i presidenti di Camera e Senato esercitano una notevole influenza in molti processi decisionali e spartitori. Questa influenza si moltiplica quando il governo si presenta più debole, a cominciare dal perno decisivo, la maggioranza che lo sorregge. Nel nostro tripolarismo frammentato, sappiamo bene che le maggioranze si formano e si dissolvono mettendo insieme parlamentari spesso in ordine sciolto e ancora più spesso pronti a cambiare ripetutamente casacca. Ne consegue che una buona fetta del potere di condizionare l'azione e la stessa sopravvivenza dei governi sarà in mano ai due presidenti. Che, più dura la legislatura, più rischiano di diventare il principale snodo della sua durata.

In una partita a scacchi così complessa, l'approccio ultimativo dei cinquestelle è apparso per il momento un passo falso. Avere decretato di essere il pilastro e il passaggio obbligato di qualunque accordo, rientra nello stile oratorio e comunicativo tranchant del loro leader. Ma, nel valzer di mosse e contromosse che contraddistingue i riti degli accordi istituzionali, una posizione così rigida rischia di rivelarsi un autogol. Non sappiamo se, alla fine, la tela del ragno che Berlusconi e i suoi espertissimi collaboratori stanno tessendo sortirà l'obiettivo di portare un suo uomo sul seggio più alto di Palazzo Madama. Ma un primo risultato è già emerso. Arringare a senso unico la piazza è un mestiere che i cinquestelle hanno mostrato di saper fare benissimo, e meglio di chiunque altro. Ma ottenere, con lo stesso sistema, di guadagnarsi le postazioni di governo, senza avere da soli i voti necessari, è un compito molto più arduo. 

Ciò non significa certo che, nel caso di una sconfitta in questa mano, Di Maio e i suoi abbasseranno i toni. Anzi, li alzeranno di più. E nel caso che sia eletto un presidente frutto di un'intesa provvisoria tra centrodestra e centrosinistra, torneranno a gridare all'inciucio. Ma, in prospettiva, sarebbe un duro colpo alla linea aperturista che il leader ha proclamato di voler tenere. E, se questa battuta d'arresto dovesse minare anche l'iniziativa dei grillini per la formazione del governo, crescerebbero rapidamente i malumori nell'ala interna più movimentista. Creando i presupposti perché anche nel partito finora almeno all'apparenza più coeso la leadership indiscussa di Di Maio cominci a perdere un po' di smalto.

È presto per tirare conclusioni. Ma se qualcosa il recente passato ci ha insegnato, in Italia le leadership forti e le posizioni intransigenti - si scontrano più prima che poi con la palude istituzionale. In cui prevale solo chi non pretende di procedere troppo in fretta.
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