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SERGIO MATTARELLA

Mattarella a Napoli: «Processi più moderni e toghe indipendenti»

«È indispensabile che il processo divenga strumento più agile e moderno per perseguire adeguatamente gli obiettivi per i quali è predisposto»

Il presidente Sergio Mattarella a Napoli
Il presidente Sergio Mattarella a Napoli
di Marilicia Salvia
Articolo riservato agli abbonati
Martedì 16 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. : 20:30
5 Minuti di Lettura

«Una attività imprescindibile per assicurare l'effettività della giurisdizione, che non può mai fare a meno di elevata professionalità e di radicato senso etico della funzione a cui ciascun magistrato è chiamato». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è netto nel definire il senso e il valore della Scuola superiore della magistratura di cui ieri si è ufficialmente inaugurata la sede napoletana (la terza in 11 anni dopo Scandicci e Roma), nei saloni di quel Castel Capuano che dell'amministrazione della giustizia è stato baluardo fin da quando, nel 1540, sotto il vicereame spagnolo diventò sede delle Corti civili e criminali. Una nuova vita celebrata con una cerimonia solenne - alla presenza del Capo dello Stato, del ministro della Giustizia Carlo Nordio, del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e di tutti i vertici della magistratura napoletana, oltre che del presidente della Regione Vincenzo De Luca e del sindaco Gaetano Manfredi - per questa fortezza normanna che domina il centro storico affollato di turisti, svuotata e abbandonata con il trasferimento, nel 2007, degli uffici giudiziari nella moderna sede del Centro direzionale, e da qualche anno al centro di importanti lavori di riqualificazione. 

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«In questi ambienti si è affermata l'importante Scuola dei giuristi napoletani, che affonda le proprie radici nella prima università laica istituita nel 1224 da Federico II con il dichiarato scopo di formare il gruppo dirigente necessario per il governo dello Stato», ricorda Mattarella rinvigorendo l'orgoglio delle molte toghe, degli avvocati guidati dalla presidente dell'Ordine Titti Troianello e dei docenti di Giurisprudenza, fra i quali il direttore del dipartimento federiciano Sandro Staiano, che affollano il sontuoso Salone dei Busti. Cerimonia sobria, cinquanta minuti in tutto senza tagli del nastro e senza buffet d'ordinanza, il tempo di ascoltare, prima di Mattarella, il presidente della Scuola Giorgio Lattanzi («questa sede napoletana, che ospiterà magistrati italiani e stranieri, ne amplierà il prestigio») e il ministro Nordio che definisce la Scuola stessa «prima alleata per raggiungere i traguardi del Pnrr, e quindi i fondi connessi, e restituire al Paese un servizio sempre più vicino alle esigenze dei cittadini e delle imprese». Si respira soddisfazione per il doppio risultato raggiunto, aver sottratto Castel Capuano a un degrado che ha colpevolmente rischiato di diventare irreversibile, riportando allo stesso tempo Napoli sulla scena dell'elaborazione del pensiero giuridico. Con questa terza sede infatti la Scuola della Magistratura sarà in grado di allargare la sua offerta formativa, aggiungendo corsi «ai quali possono accedere anche esponenti dell'avvocatura, aspetto che contribuisce a completare la visione d'insieme del processo e della funzione che esso assolve», sottolinea il Capo dello Stato. E non solo. «Alle recenti riforme, sia del processo civile che del processo penale, sono dedicati alcuni dei corsi in programma per il 2023, nella consapevolezza dell'importanza della fase di prima applicazione delle innovazioni legislative. Va espresso apprezzamento - dice Mattarella - per l'orizzonte culturale con cui la Scuola ha tempestivamente risposto all'esigenza di aggiornamento formativo, con l'intento anche di promuovere interpretazioni uniformi sul territorio nazionale delle nuove discipline processuali». Uniformità che «non rappresenta un limite alla attività decisionale ma ne costituisce un punto di approdo, giacché è diretta a promuovere la prevedibilità delle decisioni e, dunque, la loro comprensibilità». È un passaggio centrale del discorso di Mattarella, più volte interrotto dagli applausi, pronunciato con il tono fermo di chi svolge secondo Costituzione anche il ruolo di presidente del Csm ed è consapevole che è intorno alla corretta attività giurisdizionale che si gioca la partita della credibilità di una amministrazione della giustizia tuttora appesantita da ritardi e inefficienze. «È indispensabile - scandisce il Presidente - che il processo, sia civile che penale, divenga strumento più agile e moderno per perseguire adeguatamente gli obiettivi per i quali è predisposto. Occorre che governo e Parlamento, magistratura e avvocatura si impegnino per conseguire questo risultato». 

 

Tuttavia modernità, suggerisce Mattarella, non può voler dire giustizia creativa, magari esercitata per rispondere a «istanze di tutela dei diritti» che abbiano «connotazioni nuove e inedite». Su questo punto il Capo dello Stato è inequivocabile: se da un lato bacchetta il legislatore per essere «in ritardo» su certi temi (il pensiero corre a questioni bioetiche come l'eutanasia o i diritti delle famiglie arcobaleno) dall'altro ribadisce che «la giustizia va resa solo in base alla legge e al diritto, nazionale, europeo e sovranazionale, risultato delle espressioni di sovranità popolare tramite l'esercizio della funzione legislativa». Nel quadro degli equilibri costituzionali - evidenzia Mattarella - i giudici sono «soggetti soltanto alla legge»; il che realizza «l'unico collegamento possibile, in uno Stato di diritto, tra il giudice, non elettivo né politicamente responsabile, e la sovranità popolare, di cui la legge, opera di parlamentari eletti dal popolo e politicamente responsabili, è l'espressione prima».

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Indipendenza della magistratura, dunque, come patrimonio irrinunziabile dello Stato di diritto. Ma il riparto tra poteri dello Stato va altrettanto rispettato: «Il processo non può essere utilizzato per finalità diverse, che ne stravolgerebbero il ruolo, mettendo gravemente a rischio la fondamentale separazione fra i poteri», conclude il Capo dello Stato. L'ultimo passaggio è dedicato al dovere di trasparenza che tocca alla magistratura alle prese con casi di «malcostume interno»: Mattarella sollecita «un più attento esercizio di compiti di vigilanza» per prevenire vicende che possono gettare «grave discredito» sull'Ordine giudiziario e «far dubitare dell'integrale espletamento dei doveri d'istituto». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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