Quel boato che riporta
alle paure del passato

di ​Paolo Graldi
Lunedì 6 Agosto 2018, 22:52 - Ultimo agg. 7 Agosto, 09:29
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Bologna, Borgo Panigale, il quartiere dove si fabbrica la Ducati, la moto più veloce del mondo, è in fiamme da pochi istanti. Ci vorrà tempo per capire che cosa è successo, che l’esplosione causa tamponamento di un Tir autocisterna ha innescato un effetto domino di esplosioni. Una vastissima area devastata, la tangenziale che attraversa la città e collega il Nord e il Sud, dentro la quale passa l’autostrada del Sole, spezzata, sventrata, ridotta a immane voragine, un ventre nero e dall’odore acre e nauseante che, da un istante all’altro, ha spezzato mille e mille viaggi di lavoro, di vacanza proprio nei giorni di più intenso traffico. Difficile, anzi impossibile, immaginare la incalcolabile massa di progetti stravolti e forse saltati insieme alle decine di auto che hanno preso fuoco, in un incontenibile contagio di fiamme. 

Due vittime accertate, settanta feriti, quindici gravissimi. Si combatte nei Centri grandi ustioni per i feriti piagati ovunque e in pericolo di vita. 

«Angela, calmati, non piangere, spiegami bene: che cosa è successo. Dove sei? Stai bene? Dimmi che stai bene! E Antonio, dov’è, è con te?». «Mamma, sono scoppiate delle bombe. Un inferno di fuoco. Non so che cosa sta accendo ma noi stiamo tutti bene, siamo in un bar, al sicuro».

Angela, giovane mamma, stringe a sé il figlioletto. Impaurito e inconsapevole tiene stretto un cornetto alla crema che gli hanno dato per distrarlo. 

Angela, trema, il pianto le spezza la voce, il racconto, spezzato e incerto, è come un lungo brivido. Non sa ancora che quei boati assordanti, in sequenza terrificante, quei funghi di fuoco che si alzano verso il cielo trasformandosi in nubi nere, dense e asfissianti non sono bombe che esplodono. 

Almeno, non sono bombe come quelle che Bologna ha patito sulla sua pelle tanti anni fa e ad ogni agosto si ferma alla stazione Centrale per ricordare, per non dimenticare. Per capire di più sulle colpe, le ombre, i misteri e i segreti. Un boato d’agosto è come un riflesso condizionato, un gesto spontaneo e insieme inconsulto, vago e vano insieme. 
Ma è vero, viene quasi naturale, che il frammento di dialogo tra madre e figlia, proprio nell’attimo in cui quella parte di città è avvolta in una sorta di apocalisse devastante riapre per un attimo una ferita mai rimarginata e alle bombe, infatti, corre il pensiero nel vedersi levare lingue altissime di fuoco e di fumo. 

Quel che vediamo nei film che giocano al computer immaginando la fine del mondo con i grattacieli che si sciolgono su stessi e le auto volano si è visto in questo tranquillo quartiere di semi periferia, attraversato dalla grande arteria stradale che congiunge le diverse diramazioni della città, gli altri quartieri, e al centro le corsie che corrono ad allacciarsi verso i tronchi che portano ad Ancona e poi a Bari e, dall’altra parte, a Ferrara e poi a Padova e al Nord. 
La diffusione dei cellulari sempre accesi, pronti a registrate e a fotografare la realtà in tempo reale, prima ancora che la si possa percepire esattamente, la diffusione delle macchinette, tecnicamente Dash, che filmano i nostri percorsi, ogni istante della nostra esistenza e quella degli altri, apparecchietti attaccati con una ventosa al parabrezza, testimoni permanenti e freddi, hanno offerto con impressionante immediatezza sui social e poi sui Tg h24 le immagini delle esplosioni mentre avvenivano, durante il moltiplicarsi degli incendi, registrando il fuggi-fuggi delle gente per le strade, lo sgomento e il terrore per una catastrofe rimasta senza una spiegazione per interminabili minuti, come in una sospensione del tempo, quasi i boati non dovessero finire più e i roghi alle cose moltiplicarsi all’infinito. 

La devastazione causata dalla autocisterna che si è aperta come un guscio d’uovo dopo aver fatto saltare sventrandolo il cavalcavia e ferito poliziotti e carabinieri ch’erano da poco accorsi sul luogo, chiamati dopo un incidente, proprio i fotogrammi precedenti il disastro di Borgo Panigale. Bologna accusa il disastro come un colpo basso, sotto la cintura: da cerniera indispensabile di collegamento tra il nord e il sud del Paese paga adesso questo nastro d’asfalto spezzato in due, sbriciolato, annientato. Migliaia di cittadini vivono ora d’angoscia, alcune decine, per precauzione, hanno lasciato le abitazioni in attesa delle verifiche dei vigili del fuoco, come sempre angeli del soccorso. 

Le inchieste sapranno ricostruire le responsabilità, che ci sono e sono gravi fin dal loro primo apparire. Forse si saprà trarre qualche lezione per il futuro, lezioni di prudenza, quella che è evidentemente mancata e che adesso ci porta a calcolare i danni. 

Ci sono poi i danni indotti, di tutti i generi e salatissimi, quelli delle tante, infinite storie di persone che dovevano attraversare quel cavalcavia di ferro-cemento per correre a mettere l’orologio sull’ora delle vacanze e che hanno dovuto cercare, come si dice in questi casi, un percorso alternativo. Alternativo fino a quando quella voragine nera anche di lutto e che sa di offesa al buon senso e alla prudenza non sarà stata riparata e tutto il traffico tornerà a scorrere. 

Accompagnato da un filo rosso di paura. 
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