Quirinale, Franchi tiratori e sospetti sul flop Casellati. Meloni e Lega: noi leali. FI: «Tratteremo da soli»

Quirinale, Franchi tiratori e sospetti sul flop Casellati. Meloni e Lega: noi leali. FI: «Tratteremo da soli»
Quirinale, Franchi tiratori e sospetti sul flop Casellati. Meloni e Lega: noi leali. FI: «Tratteremo da soli»
di Emilio Pucci
Sabato 29 Gennaio 2022, 01:10 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 01:20
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«Ma se il centrosinistra non partecipa al voto, come facciamo a prendere gli altri voti?». La telefonata del presidente del Senato Elisabetta Casellati piomba nel primo mattino quando i leader del centrodestra sono riuniti per dare il via libera definitivo alla sua candidatura per il Colle. Giovedì Casellati ci aveva creduto, ma già ieri spiegava ai vertici che non c’erano le condizioni adatte per provare a forzare la mano. Ha insistito Fdi e anche Salvini, che comunque non era ottimista sulla prova d’Aula, «dobbiamo tentare». Forza Italia era a conoscenza della difficoltà della missione ma non ha detto no, anche per l’insistenza della terza carica dello Stato nei giorni precedenti, con i centristi scettici dal primo minuto. Ed ecco che nel sesto scrutinio il centrodestra si frantuma. E, in serata, FI annuncia che «da questo momento in poi discuterà e tratterà autonomamente con le altre forze politiche». 

Una pioggia di franchi tiratori che ha sancito una vera e propria spaccatura.

I voti andati a Berlusconi e Tajani, i gradimenti per Mattarella, il consenso per Casini: tutti segnali di una guerra scoppiata all’interno della coalizione. Con Meloni e Salvini che puntano il dito sui moderati azzurri. «Il centrodestra come l’abbiamo conosciuto non c’è più. Serve una rifondazione totale, un cambiamento radicale», spiegano dal partito di via Bellerio e da Fratelli d’Italia. Volano subito gli stracci. «State festeggiando eh?», dice La Russa a Toti, incrociandolo in Transatlantico. «Noi vi mandiamo avanti», gli risponde il presidente della regione Liguria. La Lega e Fdi si affrettano a indicare dove sono andati i voti. Ma la débacle del presidente del Senato è l’esito di una faida tutta interna ad FI. «Non ho capito come la prima donna diventata presidente del Senato possa chiedere di diventare Capo dello Stato mentre noi non abbiamo neanche una poltroncina», si sfoga un esponente azzurro. Vendette e veleni. Inutile anche una riunione di gruppo, anche se a chiederla sono in tanti. 

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Il Cavaliere aveva dato l’ok ma una larga parte del partito spingeva per Casini. «Guardate in casa Udc e FI», l’attacco ancora di La Russa. Sul banco degli imputati dei centristi però c’è lo stesso Salvini e la sua capacità di leadership. Ma il Capitano leghista rivendica di aver dato seguito al pressing arrivato dagli alleati. «Ora serve un nuovo centro, non è possibile assistere a questo spettacolo», la rabbia sia dell’ex ministro dell’Interno che della leader di Fdi. Eppure i patti erano chiari, il centrodestra si è contato nel voto: la Lega ha scritto Casellati, Fdi e Nci Elisabetta Alberti Casellati, Fi e Udc Elisabetta Casellati, Coraggio Italia Alberti Casellati. Ma Salvini con il ko dell’alleanza sul presidente del Senato ha avuto la possibilità di percorrere un’altra strada, sicuramente lontana rispetto a quella perlustrata dai moderati azzurri che già giovedì avevano minacciato il blitz su Casini in Aula.

Tra i centristi c’è il convincimento che Salvini e Meloni avevano già pronto il piano B. Perché nel pomeriggio i centristi erano convinti che fosse fatta, che il bivio fosse tra Draghi e Casini. Ma Salvini non ha dato più sponda a chi, a suo dire, ha perso una grande occasione per portare una donna di centrodestra al Quirinale. È vero che sia Meloni che Salvini hanno accusato il fronte progressista di avere paura, di aver scelto «la strada della diserzione», ma l’epilogo della partita Casellati era già scritto.

Solo che così il Capitano leghista si è potuto muovere con le mani libere. Senza ascoltare le sirene di FI e dei centristi. E cercando l’accordo con Conte. Perché la convergenza con il presidente M5s non è gradita dal «fronte del proporzionale», come lo chiama un leghista. Il nuovo patto giallo-verde ha sorpreso insomma tutti gli ex-dc, convinti di poter cambiare volto al centrodestra. La sconfitta di ieri lascerà sicuramente strascichi nella coalizione mentre Meloni spinge già affinché, una volta risolto il rebus Colle, si vada ad elezioni anticipate, «la parola torni agli italiani». Amareggiato è anche Berlusconi che ha visto deflagrare il suo partito. Non è un caso che ieri Bossi abbia invocato un suo intervento, «è lui la chiave». Ma il partito azzurro non ha condiviso il metodo utilizzato da Salvini. Puntava su altro, non si aspettava che il Capitano leghista riuscisse a chiudere un accordo con i pentastellati e con il Pd. Resta il fatto che da oggi il centrodestra dovrà raccogliere i cocci. E reinventarsi. Perché da una parte c’è il patto Salvini-Meloni, con il primo che dialoga con i berlusconiani del partito; dall’altra i moderati che – questa l’accusa di più di un leghista – hanno approfittato della partita del Quirinale per togliersi i sassolini dalle scarpe contro Casellati ma anche contro «la destra sovranista». Oggi al voto dell’Aula è atteso un altro round. 

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