Quirinale, oggi la prima votazione: ecco i “due partiti” di Draghi, chi lo candida e chi no

Quirinale, oggi la prima votazione: ecco i “due partiti” di Draghi, chi lo candida e chi no
di Massimo Adinolfi
Lunedì 24 Gennaio 2022, 06:00 - Ultimo agg. 25 Gennaio, 16:32
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C’è un partito per Mario Draghi, e un partito contro l’ipotesi di Draghi al Quirinale. In verità, i due partiti sono in campo da un bel po’: a occhio e croce, da quando Sergio Mattarella ha chiamato Draghi a guidare il governo, un anno fa. Solo, però, nelle ultime ore, si sta facendo più evidente la linea di separazione che divide i due partiti. Linea che non passa tra gli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, ma li attraversa entrambi. 

Attraversa, anzi, i singoli partiti. Al lavoro su Draghi al Quirinale è anzitutto il segretario del Pd, Enrico Letta. Che insiste nella richiesta di un profilo in grado di raccogliere una maggioranza larga. Questo è anzi il punto essenziale che Letta mette innanzi, per sgombrare il campo da candidature di centrodestra non gradite, e perché è convinto che solo Draghi possa avere i voti di una maggioranza grande almeno quanto quella che lo sostiene al governo. Sorprendentemente, ma non troppo, Letta trova sulla sua strada Giorgia Meloni, sebbene con motivazioni diverse. La leader di Fratelli d’Italia intravede nell’elezione di Draghi il varco attraverso il quale guadagnare le elezioni in via anticipata, e sembra perciò disponibile a votare il premier, forse attendendosi in cambio anche un lasciapassare per palazzo Chigi, qualora nelle urne dovesse prevalere il centrodestra. Su Draghi sono disponibili anche buona parte delle truppe centriste, a cominciare da Toti e Brugnaro, mentre è venuto meno l’appoggio di Forza Italia, dopo che Silvio Berlusconi, nel farsi da parte, ha sostenuto che Draghi deve rimanere a palazzo Chigi. La qual cosa si capirà solo nei prossimi uno-due giorni se vale quanto un veto, una definitiva indisponibilità, o se invece potrà esser superata. Quel che è certo, è che nei giorni scorsi non l’ultimo arrivato, ma Gianni Letta ha lavorato per portare Draghi sul Colle. Infine, dalle parti di Draghi sembrerebbe anche Luigi Di Maio (con Grillo nelle vesti di spalla), anche se il condizionale è d’obbligo, perché il ministro degli Esteri è rimasto nelle ultime settimane abbottonatissimo: si muove in proprio, indispettendo Giuseppe Conte, e cerca anzitutto di non rimanere spiazzato (oltre che di tenersi la Farnesina). 

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Nel novero di quelli che invece Draghi al Quirinale non ce lo vogliono bisogna mettere anzitutto il Cavaliere, l’unico che finora l’abbia messo nero su bianco, non è chiaro se per calcolo politico, risentimento personale o spassionata valutazione sui compiti che Draghi può e deve svolgere da presidente del Consiglio. In realtà, il partito avverso a Draghi non si espone apertamente, e spesso traveste la sua avversione da apprezzamento per il suo impegno al governo, sia che questo possa davvero proseguire, anche dopo la strettoria del voto per il Colle, sia che invece, chiuso il capitolo Quirinale, si apra una nuova fase politica. La sinistra, dentro e fuori il Pd, non è certo entusiasta della soluzione «tecnocratica»: preferirebbe una soluzione più politica. Tra i maggiorenti del partito, il più freddo sembra Franceschini, che con Draghi non ha mai avuto particolare feeling, mentre Orfini è l’unico che abbia chiesto esplicitamente il bis di Mattarella. Nei Cinque Stelle, Conte sembra in cerca di alternative, se non altro per timore di non riuscire a tenere i gruppi compatti sul nome di quello che per molti grillini rimane pur sempre un ex-banchiere. Il discorso sulla Lega è più complesso. Per un Giorgetti che conta su un rapporto molto solido con il premier, c’è un Matteo Salvini che vorrebbe portare a casa, nel ruolo di king maker, un Presidente ascrivibile al centrodestra. Salvini non ha detto di no a Draghi, né in via ufficiosa né in via ufficiale, ma è comunque in cerca di altri nomi, che possano far breccia in Parlamento, tra i settori centristi. Lo stesso, forse, si deve dire di Matteo Renzi, il cui discorso sul recupero di centralità della politica non è sembrato certo un assist a Draghi. Ma se il nome del premier fosse messo esplicitamente sul piatto, difficilmente Renzi potrebbe sottrarsi. 

Come si vede, non è affatto semplice. Meglio evitare, anzi, di fare pronostici. Basta poco perché l’equilibrio si rompa a favore dell’una o dell’altra parte, ma quel «poco» è al momento imponderabile. E perciò, salvo sorprese dell’ultimora, partiti e schieramenti si «conteranno» nei primi tre turni, per rimandare alla quarta votazione il momento decisivo.

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