Quirinale elezioni 2021, le manovre dei partiti con vista sul Colle

Quirinale elezioni 2021, le manovre dei partiti con vista sul Colle
di Massimo Adinolfi
Domenica 24 Ottobre 2021, 13:00 - Ultimo agg. 19:43
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Siamo solo alle primissime battute, ma il gran gioco dell'oca è già cominciato: chi arriverà sul Colle? Nella rosa dei nomi che circolano il primo è, naturalmente, quello di Mario Draghi, il più autorevole tra i possibili candidati. Chi potrebbe sbarrargli la strada, qualora desse il segno di voler salire sul più alto Colle? In realtà, le cose sarebbero complicate anche per lui, per più di un motivo. Anzitutto, è vero che il peso politico del Quirinale è cresciuto, ma ai vertici europei va il Presidente del Consiglio, non il Presidente della Repubblica. In una fase in cui l'interlocuzione con Bruxelles è fondamentale, il trasloco di Draghi non sarebbe la mossa più indovinata. Bisognerebbe poi trovare un nuovo presidente del Consiglio senza ridurre i ranghi dell'attuale maggioranza: impresa non facile. E dare inoltre rassicurazioni ai molti che, in Parlamento, proprio non desiderano tornare a casa anzitempo, soprattutto tra i peones pentastellati. Insomma: Draghi ha le carte in regola, ma la sua elezione rimescolerebbe il resto del mazzo, e nessuno può scommettere sulla mano che ne uscirebbe. La Meloni è l'unica che dice con tuttta franchezza: va bene Draghi al Quirinale, purché si vada subito al voto. Altri invece lo voterebbero, purché avessero garanzie che non si andasse subito al voto. Un bel rebus. Sciogliere il quale potrebbe voler dire puntare ancora su Sergio Mattarella. Il quale, come cantava il poeta, ha detto in tutti i luoghi e in tutti i laghi che sette anni bastano e avanzano. Al di là della sua volontà (particolare non trascurabile), un bis di Mattarella toglierebbe molte castagne dal fuoco. Se non altro, lascerebbe le cose come stanno, e in più, qualora si dimettesse con l'elezione del nuovo Parlamento, affiderebbe ai futuri equilibri politici la scelta del prossimo settennato. Ora, chi non ha possibilità di farcela oggi, potrebbe spingere per una soluzione simile, anche se fare calcoli su come sarà il prossimo Parlamento è assai difficile. Prima delle amministrative poteva essere una strategia per il centrodestra, che si considerava avanti; dopo il voto nelle città, nulla è più sicuro. C'è però anche un problema dal punto di vista della dottrina costituzionale: allineare l'elezione al Quirinale alla maggioranza parlamentare è proprio quello che i Padri costituenti non si proposero, differenziando per questo la durata delle due istituzioni. Ricorrere al bis per un anno o due, dopo che si è fatta la stessa cosa con Giorgio Napolitano, potrebbe essere inteso come un aggiramento dello spirito, anche se non della lettera, della Carta. Una cosa che cozza con la sensibilità giuridica dell'attuale Presidente. 

Se Draghi e Mattarella non fossero della partita, le strade si aprirebbero all'improvviso a molte soluzioni. In ordine di età si dovrebbe cominciare da Silvio Berlusconi, il cui nome non smette di circolare perché lui non smette di dedicarci un pensiero. Dopo l'ultimo vertice, il refrain è: se il Cavaliere decidesse di scendere in campo, avrebbe tutti i voti della coalizione di centrodestra. Il fatto è che, primo, non bastano; secondo, non è detto che ci sarebbero davvero tutti. Berlusconi non è più il nemico pubblico numero uno della sinistra, fa sfoggio di panni da statista e si propone come garante di un'area europeista e liberale che potrebbe non spiacere ai moderati e ai riformisti del centrosinistra (a Renzi?). Di qui però ad attirare consensi sufficienti ce ne corre. Perché ogni tanto qualche ombra del passato, a torto o a ragione, torna a inseguirlo, e perché rimane un nome altamente divisivo. Stessa cosa si deve dire di Romano Prodi.

A differenza del Cavaliere, il Professore ha detto chiaramente di non nutrire aspirazioni quirinalizie. Resta però il padre nobile dell'Ulivo, ed è uno dei possibili candidati su cui un pezzo almeno dei Cinque Stelle potrebbe convergere. Il motivo, cioè il profilo antiberlusconiano della figura, è però la precisa ragione per cui il suo nome non supera i confini giallo-rossi. Sicché vale per lui quel che vale per Silvio: i voti del centrosinistra non bastano, allo stato, e se anche, grazie all'apporto grillino, dovessero sulla carta bastare, non è detto che ci sarebbero davvero tutti, nell'urna. È già successo una volta, nel 2015: chi se la sentirebbe di tentare una seconda volta la conta? Letta, che dovrebbe essere il suo primo sponsor, potrebbe mai gettare, su una posta tanto arrischiata, il credito acquisito dopo il turno amministrativo? 

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Sia Prodi che Berlusconi sarebbero candidature con una forte caratura politica. Poiché gli schieramenti in campo non hanno, a quel che si vede, la forza di sostenerne il prezzo (o il valore, fate voi), potrebbero ripiegare su figure più istituzionali. Per una soluzione del genere i nomi che circolano sono due: Marta Cartabia e Giuliano Amato. La prima ha il vantaggio, se è lecito dir così, di esser donna: una donna al Quirinale sarebbe un fatto inedito, e darebbe un segnale di grande rinnovamento (un buon motivo per pensare anche al Presidente del Senato Casellati, peraltro). Ma il centrodestra, e in particolare Matteo Salvini, non la ama, mentre per Giorgia Meloni sarebbe pur sempre un ministro del governo che avversa a salire sul Colle. Amato non incontra questo genere di ostilità. Gli unici che di sicuro non lo voterebbero mai sono i Cinque Stelle, che rinverdirebbero per l'occasione la vocazione anti-establishment. In ogni caso, il nome, pur papabile, non scalda, poiché resta legato a un'altra stagione politica, e a un'altra Repubblica. Chi rimane, allora? Un paio di nomi europei, quelli di Paolo Gentiloni e David Sassoli, con prestigiosi incarichi istituzionali. Il secondo è sembrato qualche mese fa strizzare l'occhio ai Cinque Stelle, con un'insolita attenzione alle tesi grilline su sorteggio e democrazia diretta. Alla luce della parolabola discendente imboccata dal Movimento, forse non è stata una mossa felice. Paolo Gentiloni, invece, si mantiene lontano dalle beghe interne, e intanto coltiva il suo standing internazionale. Poiché al Quirinale serve un nome dal sicuro pedigree europeista, la sua candidatura è nelle cose: oltre ai voti del centrosinistra, può raccogliere voti riformisti e moderati, forse qualcosa persino nella Lega, superare le perplessità grilline e avere l'ostilità, ma non le barricate contro, della destra sovranista. Insomma: un sentiero possibile c'è. Infine, Pierferdinando Casini. È stato nel centrodestra, poi nel centrosinistra; tuttora ha buoni rapporti da una parte e dall'altra. Marchio di fabbrica democristiano, che per aspirare al Quirinale non è una nota di demerito. Però deve rimanere coperto il più possibile, e augurarsi che la sua elezione non se la voglia intestare in solitaria Matteo Renzi. Il Colle può essere anche il trampolino per un ampio rimescolamento al centro. Il che rende la candidatura di Casini una prima scelta per i centristi, un male minore per tutti gli altri. 

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