Corsa al Colle, Mastella: «Il mio no a Pertini fu palese, ora c'è il magma dei peones»

Corsa al Colle, Mastella: «Il mio no a Pertini fu palese, ora c'è il magma dei peones»
di Generoso Picone
Sabato 20 Novembre 2021, 10:19 - Ultimo agg. 21 Novembre, 09:59
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Questa volta lui non ci sarà. Clemente Mastella non concorrerà a eleggere il prossimo presidente della Repubblica, non farà parte della platea dei 1007 che dagli ultimi dieci giorni di gennaio dovranno indicare il nome del nuovo capo dello Stato. «Meglio sindaco, ormai questa carica conta di più di quella di un deputato», dice l'attuale primo cittadino di Benevento. Il quale comunque è pronto a lanciare l'ennesima sfida politica con Noi di Centro, il partito che vivrà la sua assemblea costituente il 4 dicembre a Roma.

Mastella, in quale schieramento vi collocherete?
«Intanto ci costituiamo. Con questa legge elettorale è molto probabile che il Senato sarà composto da 200 seggi e nessuno dei due schieramenti avrà la maggioranza assoluta. Basta poco, quindi, per essere determinanti. Ricorda che cosa successe nel 1994 con il primo governo di Silvio Berlusconi?».

Grande confusione allora, se possibile maggiore oggi.
«La confusione è generale. È nel Parlamento, nella maggioranza e nel governo stesso.

Mi pare difficile che in un clima simile si possa definire un metodo di comportamento per l'elezione del presidente della Repubblica. I casi sono due: o viene trovata una soluzione di ampia unità nazionale come successe per Francesco Cossiga, Carlo Azeglio Ciampi e per il secondo mandato a Giorgio Napolitano oppure dal quarto scrutinio si aprirà la battaglia vera e propria. Perché il punto è questo: senza maggioranza la partita verrà giocata all'interno di quel magma incandescente di peones che non intendono assolutamente andare al voto anticipato e che per il Quirinale sceglierebbero chiunque».

Varrebbe l'abilità di saper persuadere, insomma. Si dice che Berlusconi in ciò è maestro.
«Ma la sua aspirazione è stata bloccata già all'interno del centrodestra. Non so se Berlusconi riuscirebbe a essere quel chiunque da votare. Rischia di ridursi a una sorta di candidato di bandiera».

Lei definisce magma incandescente l'area dei cosiddetti peones. Saranno loro i protagonisti dell'elezione, dunque? I franchi tiratori o, come li chiama Paolo Cirino Pomicino, i liberi pensatori?
«Franchi tiratori nel senso della franchezza del loro atteggiamento. Sì, Paolo ha ragione: anche liberi pensatori, deputati e senatori messi da parte nei loro partiti, i quali in questa occasione si prendono la rivincita. Come dar loro torto? Ci sono in giro dei leader di partito in grado di esercitare la propria autorevolezza sui gruppi e guidarli nelle scelte? Guardi che cosa accade nel M5S, nel Pd ma pure nella Lega e in Forza Italia. Non c'è più nessuno capace di governare i processi».

Ha avuto esperienze di libero pensatore parlamentare?
«Io ho contribuito a eleggere numerosi presidenti, l'ultimo è stato Napolitano. Ma a uno ho detto no a viso aperto».

Chi era?
«Sandro Pertini. Dichiarai che non lo avrei votato perché una volta, in Transatlantico, lo sentirei ironizzare sul coraggio di Aldo Moro prigioniero delle Br rispetto alla fermezza che lui e gli altri resistenti avevano mostrato durante il fascismo. Mi parve un'offesa grave e Pertini non ebbe il mio consenso. Fui pure censurato dalla Dc e, per questo mio atteggiamento, si creò un clima di freddezza tra il capo dello Stato e Ciriaco De Mita, segretario della Dc di cui io ero portavoce. Però non avvenne alcuna ricomposizione con Pertini. Anzi, per quello che lui disse dopo il terremoto del 23 novembre 1980 la distanza divenne abissale».

Altri tempi. Li rimpiange?
«Tempi in cui c'era la politica e c'erano i leader. C'erano anche le spaccature, all'interno dei partiti e tra le forze politiche. Ma alla fine si riusciva ad affermare il principio dell'interesse nazionale».

Oggi, con una pandemia alla quarta ondata e un piano di ripresa da progettare, non dovrebbe costituire un'esigenza naturale?
«Certo. Si dovrebbe non dimenticare mai che si eleggerà un capo dello Stato in condizioni di emergenza, sanitaria e sociale».

Mario Draghi potrebbe rappresentare la figura giusta?
«Mah, noto che nel suo rapporto verso i partiti dell'attuale maggioranza si sta manifestando qualche scatto d'ira. Sono sicuro che lui ci pensi. Ma poi bisogna andare alla conta in aula e se non c'è una maggioranza non si fa niente».

Un consiglio per la creazione di una maggioranza parlamentare?
«Se l'area di centro si unisce, il candidato che sostiene può diventare il presidente della Repubblica».

Ha in mente un nome?
«Pierferdinando Casini ha dato ampie prove di possedere la democristianità necessaria per prendere il posto dell'ottimo Sergio Mattarella».

Il suo partito, Noi di Centro, lavorerà per questo? Al centro guarda anche Matteo Renzi.
 «Non sono geloso. Ciò che ho in mente è una Margherita 4.0: allora era formata dalla mia Udeur, dal Ppi di Franco Marini, dall'Asinello di Romano Prodi e da Rinnovamento di Lamberto Dini. L'obiettivo oggi è rifondare il centro. Verificheremo se ci sarà convergenza».

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