Quirinale, Letta e Renzi di nuovo insieme per gli interessi paralleli ma Enrico non «sta sereno»

Quirinale, Letta e Renzi di nuovo insieme per gli interessi paralleli ma Enrico non «sta sereno»
di Adolfo Pappalardo
Mercoledì 26 Gennaio 2022, 07:00 - Ultimo agg. 27 Gennaio, 08:56
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Ad accomunarli ora è il fattore U. Come Ucraina e la sua crisi internazionale che è alla base del no secco all'ex ministro Franco Frattini avanzato 24 ore fa dal centrodestra. Perché in una fase delicata per la crisi Ucraina, da qui il fattore U, serve un profilo di presidente «europeista e atlantista». E questo identikit non corrisponderebbe per gli esponenti del centrosinistra a quello dell'ex ministro degli Esteri dei governi Berlusconi.

Ecco cosa ha tenuto alleati, ieri in particolare, Enrico Letta e Matteo Renzi costretti a navigare ora sulla stessa barca e con la stessa rotta. «Ma sino a quando? Da giovedì in poi cosa farà il leader di Iv che è noto rimane un politico con il fiuto ma anche spregiudicato nelle sue mosse?», mormora nel Transatlantico uno scafato parlamentare democrat con, ovviamente, il vincolo dell'anonimato.

Ma ora non si può prescindere da Italia Viva e lo sanno bene dalle parti del Pd: i voti renziani potrebbero sommarsi a quelli di Toti in un accordo con il centrodestra. E sarebbe la fine, per il centrosinistra che si troverebbe fuori dalla partita del Quirinale. Per questo i due ex premier, nonostante non si amino né si tollerano, si sono visti non solo ieri ma anche sabato di buon mattino. Ed è il primo incontro vis a vis dal lontano inverno del 2014. Quando Renzi twittò quell'«Enrico, stai sereno» entrato nell'olimpo delle citazioni politiche, seguito dalla tempesta del 22 febbraio: a palazzo Chigi Letta porse all'altro, suo successore, la campanella del presidente del Consiglio. Ma senza guardarlo negli occhi.

Ma ora è diverso perché i due sono accomunati, in queste ore, anche da altro. Anzitutto fare muro contro la destra che non vuole Draghi al Colle anche se i due ex premier sembrano più costretti a sopportare le ambizioni dell'ex presidente Bce che sostenerlo convintamente. E, ancora, due ragioni interne. Con Letta che deve dirigere il traffico tra le correnti dem e i loro rispettivi desiderata. Umorali, altalenanti che a ieri sera, alla fine della seconda giornata di votazione, si potevano riassumere così: Dario Franceschini dietro le quinte farebbe il tifo per Casini che, a sua volta, non piace all'area di Andrea Orlando. Mentre Draghi al Colle non dispiace allo stesso Letta, al suo vice Beppe Provenzano e al gruppo di Lorenzo Guerini mentre è visto con una certa insofferenza da Franceschini, Orlando e la gran parte dell'area riformista. Partita complicata, quindi, in particolare per Enrico Letta costretto a dover tenere assieme non solo il suo partito ma anche tutto il centrosinistra o quasi. Compresi i grillini in queste ore assai confusi e spaesati. E divisi soprattutto su ben tre posizioni. Nell'ordine: sì Draghi al Colle, no Draghi al Colle e meglio un Mattarella bis. Basta fare un giro in Transatlantico in queste ore e provare a sondare gli umori dell'M5s: ebbene ci sono tre posizioni diverse. 

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Per ora tiene, è il collante che regge (ma sino a quando?), il muro contro il centrodestra. «Non riteniamo che sui nomi del centrodestra possa svilupparsi quella larga condivisione necessaria», dice in sintesi un comunicato congiunto di Giuseppe Conte, Enrico Letta e Roberto Speranza dopo un vertice tenutosi ieri sera. È il no alla rosa di nomi avanzata ieri dal centrodestra (Nordio, Moratti e Pera) per tentare di fare un passo avanti e uscire dallo stallo che durerà, presumibilmente, sino a domani. Con l'incognita Matteo Renzi. Perché chi lo conosce è pronto a giurare come il politico fiorentino ha in testa qualcosa. E viaggiare sinora con Enrico Letta gli è servito come auto-assist per riprendersi il grosso della scena e far salire le sue quotazioni da king-maker. D'altronde fu lui, lo ricordano tutti, a sbloccare la situazione quando, sette anni fa, la vicenda dei franchi tiratori contro Prodi aveva fatto finire il Pd e il centrosinistra in un pericoloso cul de sac. E saltò fuori una riserva della Repubblica come il presidente uscente Sergio Mattarella. E non caso ieri Matteo Renzi si autocita quando mette fretta: «Si voti due volte al giorno, manca una regia come nel 2013, non è il momento delle rose ma del coraggio di votare un nome».

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