Recovery fund, flop tutele per donne e giovani: l'Anac critica i bandi

È un'occasione persa soprattutto al Sud per ridurre l'esercito di Neet

La relazione di Giuseppe Busia
La relazione di Giuseppe Busia
di Nando Santonastaso
Venerdì 9 Giugno 2023, 07:00 - Ultimo agg. 10 Giugno, 10:07
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Dice Paola Marone, ingegnere napoletana e presidente nazionale di Federcostruzioni (che riunisce le categorie produttive più significative della filiera dell'edilizia), che «non si può imporre alle donne di lavorare nei cantieri se non lo desiderano: non a caso sono soltanto lo 0,3% del totale degli occupati». Ma aggiunge che «per loro non devono comunque esistere barriere per l'accesso ad incarichi e responsabilità di ogni tipo nel comparto, dalla direzione tecnica alle professioni legate alla digitalizzazione o alla sicurezza. E lo stesso deve valere per i giovani che si fa fatica a trovare e che vanno invece opportunamente formati perché l'edilizia ha oggi un elevato tasso di innovazione e può essere per loro molto più attrattiva». Le parole di Marone commentano uno dei dati più preoccupanti, specie in chiave Mezzogiorno, della relazione di Giuseppe Busia, presidente dell'Autorità anticorruzione (Anac), che ieri ha tenuto alla Camera l'attesa relazione sull'attività 2022. La riserva prevista dal Pnrr e dall'Europa per garantire una quota minima (30%) di assunzioni a giovani under 36 e donne nei nuovi progetti, a partire dall'edilizia (che assorbe in tutte le sue componenti ben 108 dei 230 miliardi del Piano), sembra un'opportunità già perduta. Le deroghe previste dallo stesso Pnrr sono state cavalcate dalla maggior parte delle imprese, vanificando di fatto, come si temeva, il raggiungimento dell'obiettivo. «Ci siamo impegnati per la migliore implementazione della disciplina sulla parità generazionale e di genere nei contratti pubblici, che mira a garantire migliori prospettive occupazionali alle donne e ai giovani in settori del mercato altrimenti difficilmente accessibili - ha spiegato Busia - Tuttavia, i dati confermano che quasi nel 60% degli appalti sopra i 40.000 euro e nel 44% di quelli sopra i 150.000 euro, le stazioni appaltanti non hanno inserito, nei bandi, le relative clausole».

Difficile, insomma, per restare alla filiera dell'edilizia, che almeno attraverso il Pnrr si possa migliorare a breve termine il 7,3% di presenza femminile nel settore, che arriva al 12% se si considera anche l'industria.

Il portale Openpolis, che monitora il Pnrr, lo aveva messo in chiaro già poche settimane fa: «Alla già scarsa presenza di queste clausole negli avvisi pubblici si aggiungono le eccezioni per cui le aziende non sono sempre tenute a rispettare le quote. Sono infatti ammissibili deroghe qualora l'oggetto del contratto, la tipologia, la natura del progetto o altri elementi indicati dalla stazione appaltante (come il tipo di procedura, il mercato di riferimento, l'entità dell'importo) rendano la clausola inapplicabile o contrastante con determinati obiettivi». Di cosa parliamo? Di «universalità, socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche. Sta alla stazione appaltante decidere di avvalersi o meno della deroga e comunicare la sua decisione ad Anac, specificando le motivazioni che l'hanno portata a questa decisione». I dubbi li aveva espressi nel 2022 anche il Cnel, parlando di deroghe «troppo generiche e tali da fornire ampi margini di disapplicazione». Detto e fatto.

Il Pnrr svuotato di questa opportunità, che invece avrebbe fatto comodo in particolare al Sud per ridurre l'esercito di Neet e il pesante distacco delle donne che lavorano dalla media nazionale, non è l'unico elemento di critica della relazione. Busia prende le distanze dal Ponte sullo Stretto («C'è uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi», dice mentre in replica il ministro delle Infrastrutture Salvini definisce infondate queste preoccupazioni). E giudica eccessivo il numero delle 26.500 stazioni appaltanti presenti oggi in Italia («Occorre una drastica riduzione del loro numero, non solo per rispondere all'obiettivo posto dal Pnrr, ma anche per assicurare procedure rapide»).

Ma nel mirino della relazione finisce soprattutto il Codice degli appalti che entrerà in vigore, con le modifiche introdotte dal governo, il prossimo 1 luglio: «La deroga non può essere la regola», avverte il presidente dell'Anticorruzione, che poi punta l'indice su quelle che definisce le «scorciatoie foriere di rischi». Come l'innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, specie per servizi e forniture, o l'eliminazione di avvisi e bandi per i lavori fino a cinque milioni di euro. Dal presidente dell'Anac anche l'allarme sui pericoli del subappalto a cascata e sulla mancata introduzione nel nuovo Codice dell'obbligo di dichiarare il titolare effettivo dell'impresa, come richiesto espressamente dall'Anac. 

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Sul fronte, infine, della lotta alla corruzione, nel 2022 l'Anac ha aperto 721 fascicoli di vigilanza (+30%), 234 dei quali sfociati in veri e propri procedimenti (nella maggior parte dei casi si trattava di segnalazioni effettuate soprattutto dai cittadini: 58%). Al primo posto tra le regioni messe sotto la lente di ingrandimento c'è la Campania (13,5%). Oggetto delle segnalazioni sono stati i consulenti e i collaboratori, e a seguire i bandi di gara e contratti, bandi di concorso e dati sul personale. Situazione analoga per la vigilanza sull'anticorruzione caratterizzata da 212 procedimenti di cui 134 su segnalazione. Più della metà delle segnalazioni hanno riguardato le amministrazioni comunali, seguite da Asl, società partecipate e Regioni. Rispetto ai procedimenti sanzionatori sulla trasparenza, Anac ha comminato multe a 12 politici (territoriali). 

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