Recovery plan, Carfagna replica a Sala: «Il Nord capisca, il Sud più forte rilancia il Paese»

Recovery plan, Carfagna replica a Sala: «Il Nord capisca, il Sud più forte rilancia il Paese»
di Nando Santonastaso
Venerdì 11 Febbraio 2022, 11:00 - Ultimo agg. 14:56
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Ministro Mara Carfagna, il fuori onda del sindaco di Milano Sala e il suo successivo intervento sono uno scivolone o la spia di un disagio in salsa nordista sui fondi Pnrr per il Sud?
«Né l'uno né l'altro, credo - risponde Mara Carfagna, ministro per il Sud e la Coesione territoriale - Quel fuori onda mi fa piacere, segna la presa d'atto del cambio di passo che il governo ha impresso con il Pnrr nell'affrontare la questione meridionale: il Sud non è più un territorio perduto da risarcire con qualche sussidio in più, ma è l'orizzonte strategico della ripresa italiana dei prossimi decenni. Qualcuno forse pensava che la Quota Sud del 40 per cento e gli altri impegni assunti per la riduzione dei divari, dai Lep ai Cis per la Terra dei Fuochi o per la costa pugliese, fossero slogan o addirittura bugie. La verità è invece che questo governo ha fatto una precisa scelta di politica economica e sociale: accendere al Sud un secondo motore per lo sviluppo nazionale».

Ma è possibile che di fronte all'impegno del governo, all'appello del Presidente Mattarella e ai ritardi del Mezzogiorno si debba ancora negare che la battaglia contro le disuguaglianze del Paese si combatte soprattutto al Sud? È una difesa ideologica, come avvenne per le gabbie salariali, che lo stesso sindaco Sala aveva riproposto tempo fa, o un ritorno alle divisioni territoriali?
«Dal mio punto di vista il confronto con gli amministratori del Nord, come Beppe Sala, è un bene, perché ci aiuterà a spiegare meglio le opportunità che si aprono nel Mezzogiorno per gli investitori e le imprese provenienti dal Nord, dall'Europa e dal resto del mondo.

E poi la questione delle diseguaglianze territoriali è chiara a tutti, anche perché non riguarda solo il Nord e il Sud ma anche le enormi differenze di opportunità e servizi tra aree ad alto sviluppo e aree marginali, spesso a pochi chilometri di distanza, presenti ovunque in Italia. Penso alle aree interne e alle periferie delle grandi metropoli, Milano compresa: la loro riqualificazione è un obiettivo a cui sto riservando molta attenzione e al quale destineremo una quota significativa del Pon Metro, che è il fondo strutturale europeo dedicato alle aree metropolitane».

Il nocciolo della questione è la spesa dei fondi Pnrr: sarà questo il vero banco di prova per il Mezzogiorno. E non a caso dal Nord si dice che se il Sud non ce la farà bisognerà riassegnare ad altri quei fondi. Che segnale è?
«La missione del Sud e di chiunque lo amministri nei prossimi anni non sarà difendere le risorse del Pnrr in larga parte blindate - ma spenderle bene producendo e realizzando progetti di qualità. Il metodo Pnrr, con un cronoprogramma preciso e dettagliato di interventi da qui al 2026 e con i poteri attribuiti al governo centrale di affiancare e finanche sostituire gli enti locali in difficoltà, è una rete di protezione robusta, a Sud come a Nord. Il rischio di un ridotto assorbimento certamente c'è, ma credo che il modo migliore di affrontarlo sia superare i duelli geografici scambiandosi buone pratiche, intuizioni organizzative e anche condividendo progettualità».

Lei ha annunciato controlli ex ante e non solo a valle per monitorare il rispetto del vincolo del 40% al Sud per i fondi Pnrr. Chi farà materialmente i controlli e in cosa consisteranno?
«Gli uffici del Dipartimento per la coesione territoriale stanno già lavorando, da gennaio, per una mappatura di tutti i bandi, gli avvisi e i riparti territoriali delle risorse, controllando che nella stesura dei provvedimenti non solo vi sia il vincolo del 40 per cento, ma che questo sia concretamente attuabile. Entro febbraio, avremo il quadro definitivo e sapremo se e dove c'è bisogno di apportare correzioni o promuovere compensazioni».

Ma il 2022 in cosa, concretamente, dovrebbe diventare un anno di svolta per il Mezzogiorno? Più cantieri per le infrastrutture e i trasporti, o le Zes, o cosa?
«Gli adempimenti sono tanti, ma voglio segnalare soprattutto due linee di intervento. Le Zone Economiche speciali, finalmente dotate tutte di una struttura commissariale e a breve anche delle risorse umane necessarie al loro compito: la realizzazione di interventi di infrastrutturazione e la promozione degli investimenti produttivi presso queste aree a fiscalità ridotta e a burocrazia semplificata. Ho intenzione di presentare le opportunità che si aprono con le Zes con un road show in Italia e all'estero. Vorrei dire ai tanti investitori, alle tante imprese che hanno scelto negli anni passati delocalizzazioni complicate in Paesi lontani e spesso problematici: riportate le produzioni in Italia, prendete in considerazione le Zes del Sud Italia».

E l'altra linea di intervento?
«Riguarda il potenziamento dei servizi di comunità, della sanità di prossimità e la lotta alla povertà educativa. Sul primo capitolo il Pnrr mette 725 milioni, il 40 per cento vincolato al Sud. Sul secondo abbiamo 100 milioni destinati alle farmacie rurali del Sud e delle aree interne. Per gli interventi socio-educativi nel Mezzogiorno metteremo a disposizione 220 milioni di euro».

Gli enti locali però lamentano scenari molto critici per poter partecipare ai bandi, spendere i fondi loro assegnati, progettare le nuove opportunità di crescita. È solo un problema di personale e di competenze che non ci sono o c'è un malessere più profondo?
«Capisco le loro difficoltà, e sono io stessa preoccupata che il vincolo del 40 per cento non resti sulla carta. C'è un'intera generazione di amministratori che è cresciuta solo tirando la cinghia. Ci siamo disabituati un po' tutti a programmare sviluppo, a realizzare strade, porti, scuole e ospedali. Se gli strumenti di affiancamento degli enti locali che abbiamo individuato non basteranno bisognerà rapidamente trovarne di nuovi». 

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