«Reddito di cittadinanza,
le risorse sono insufficienti»

«Reddito di cittadinanza, le risorse sono insufficienti»
di Nando Santonastaso
Venerdì 9 Novembre 2018, 08:44 - Ultimo agg. 11:34
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La frenata dell’economia nazionale si farà sentire nel Mezzogiorno ma dall’anno prossimo lo scenario potrebbe cambiare, sia pure di poco, per effetto della manovra e segnatamente dei nuovi consumi legati al Reddito di cittadinanza. Lo scrive la Svimez nel Rapporto 2018 presentato ieri dal direttore Luca Bianchi nella Sala delle regine a Montecitorio, alla presenza del presidente della Camera Roberto Fico, e dedicato quest’anno per la prima volta non solo all’economia ma anche alla «società del Mezzogiorno nella stagione dell’incertezza».
 
L’Associazione valuta il Pil meridionale a +0,8% nel 2018 rispetto al +1,4% del 2017 ma in crescita per il 2019 (1%), un dato migliore di quelli previsti per il Centro Nord che tenderebbe a rallentare. Secondo la Svimez infatti l’impatto migliore della legge di Bilancio 2019 dovrebbe esserci proprio nel Mezzogiorno attraverso la spinta dei consumi locali proveniente dal Reddito di cittadinanza («il Mezzogiorno assorbirà il 63% delle risorse»). La spesa delle famiglie crescerebbe dallo 0,8% del 2018 all’1,4% del 2019 risultando superiore di uno 0,2% a quella prevista nelle altre aree del Paese. La stima è stata calcolata, spiegano i ricercatori, tenendo conto della ripartizione territoriale degli interventi previsti «sia in termini di minori entrate che di maggiori spese». Nel biennio 2019-2020 il Sud assorbirà il 40% delle minori entrate e oltre il 40% delle maggiori spese anche se proprio sulla contestata misura promossa dai 5 Stelle la stessa Svimez avanza riserve sostanziali, pur essendo da sempre sostenitrice di misure di sostegno alla povertà. I dubbi emergono a proposito dell’insufficienza delle risorse che dovrebbero arrivare a 1,6 milioni di nuclei familiari, dalle incognite sui Centri per l’impiego ma anche o forse soprattutto dall’assenza di una strategia di investimenti pubblici – il vero tallone d’Achille del Mezzogiorno -- in grado di rilanciare lavoro e occupazione. «E di creare sviluppo, non solo crescita», dice il presidente Svimez Adriano Giannola. Per la verità, e il Rapporto lo ribadisce, il vero nemico del rilancio dei consumi sembra essere adesso soprattutto lo spread: fino a quando si manterrà così alto sarà proprio il Sud a pagare il prezzo maggiore, in termini di contrazione di prestiti e mutui da parte del sistema bancario, costretto a fronteggiare l’innalzamento «insostenibile» dei tassi in un contesto economico molto più debole del Nord.

Torna a suonare anche un altro allarme di vecchia memoria: la crescita sconcertante e pericolosa dell’abbandono scolastico. Non più dunque solo i giovani o i meno giovani che fuggono per laurearsi altrove o per cercare lavoro alimentando fenomeni ormai noti come il part time involontario e il pendolarismo di lungo raggio (162mila i meridionali che continuano a risiedere al Sud ma lavorano al Centronord o all’estero). A preoccupare è un fenomeno che si riteneva almeno in parte limitato perché, spiega il Rapporto, il tasso di scolarizzazione dei 20-24enni meridionali è notevolmente inferiore rispetto al centronord «a causa di un rilevante e persistente abbandono scolastico». Sono circa 300mila i giovani che abbandonano, il 18,4% a fronte dell’11,1% delle regioni centrosettentrionali. Il dato era già emerso dall’ultimo Check up Mezzogiorno curato da Srm e Confindustria e anche nell’analisi della Svimez è centrale. Perché si accompagna ad altri numeri, non meno preoccupanti: il basso tasso di occupazione, ad esempio, per diplomati e laureati a tre anni dalla laurea.

«Se aumenta la disoccupazione e cresce l’abbandono scolastico è anche perché al Sud ci sono troppe risorse ferme» dice il ministro per il Sud Barbara Lezzi che ancora una volta attacca a testa bassa sull’utilizzo «irresponsabile» dei fondi europei. A gennaio, annuncia, convocherà a Bruxelles tutti i governatori del Sud per rilanciare l’impegno «a spendere bene e nei tempi giusti le risorse». Nel frattempo sempre ieri il ministro dà notizia della sua volontà di istituire una nuova cabina di regìa, questa volta destinata a coordinare i piani e i progetti delle 12 Zes previste al Sud, le Zone economiche speciali collegate alla portualità. L’obiettivo, spiega, è di assicurare un maggiore coordinamento degli interventi programmati ma l’idea suscita non poche perplessità alla luce dei risultati non proprio edificanti di tante analoghe iniziative anche del recente passato (il Pd Francesco Boccia si chiede, ad esempio, «se non sia meglio chiudere le cabine di regia che non hanno funzionato prima di aprirne altre»). 

L’ad di Invitalia, Domenico Arcuri, intervenuto al dibattito coordinato da Giuseppe Provenzano (c’erano anche Giorgio Vittadini di Fondazione per la Sussidiarietà e Luigi Paganetto di Cassa depositi e Prestiti), sostiene che «lo sviluppo del Paese si è infranto sul decentramento amministrativo».

E che, al contrario, la centralità operativa ha ben altra efficienza come dimostrano, dice Arcuri, i numeri positivi di Invitalia (1.867 nuove imprese giovani avviate in otto mesi con “Resto al Sud”, il 34% dei Contratti di sviluppo realizzati da multinazionali non italiane). A spingere l’attenzione sull’enorme opportunità prevista dalle Zes, denunciando anche il rischio che si perda anche questa come le tante che sembravano indicare un futuro luminoso per il Mezzogiorno, era stato Giannola. Le Zes dovrebbero essere la garanzia della scelta euromediterranea dell’Italia ed essere accompagnate dalla partecipazione e dalla vicinanza di tutti i porti del Paese, da Genova a Trieste. Perché, ribadisce Giannola, il Paese non può fare ameno della crescita del Sud e il Sud è l’unico e persino ideale scenario per investire. «Chi pensa che il Nord stia bene vada a rileggersi i dati relativi a Brescia, una delle realtà più importanti sul piano economico del Paese: sono fermi anche lassù hanno dovuto ammettere proprio in questi giorni», incalza l’economista, spiegando ancora una volta perché non ha alcuna credibilità sul piano fiscale, costituzionale e sociale la pretesa dell’autonomia rafforzata cavalcata dalle Regioni del Nord e in particolare dal Veneto. 

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