Referendum, Pd in ordine sparso tra imbarazzi e silenzi

Referendum, Pd in ordine sparso tra imbarazzi e silenzi
di Adolfo Pappalardo
Giovedì 27 Agosto 2020, 07:00 - Ultimo agg. 18:20
4 Minuti di Lettura

M5s a parte, tutti i partiti si ritrovano in un certo imbarazzo sul prossimo referendum. Ma chi soffre di più, tra crisi di coscienza di militanti e dirigenti e impaccio degli stessi parlamentari, è proprio il Pd. Con in testa il segretario nazionale Nicola Zingaretti. E ieri, in un'intervista al Corsera, cerca di districarsi tra le due anime del suo partito. «Sosteniamo da sempre la riduzione del numero dei parlamentari, tuttavia per votare Sì e far nascere il governo abbiamo chiesto modifiche dei regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente i territori, il pluralismo e le minoranze», dice Zingaretti cercando di divincolarsi tra il Sì e il No al referendum per il taglio dei parlamentari. Ma il Pd si ritrova spaccato.

LEGGI ANCHE Referendum, così il Sud perde parlamentari

Proprio il Pd per ben tre volte ha detto No alla riforma cara ai grillini, poi, un anno fa, con il nuovo governo i democrat hanno dovuto accettare di bere l'amaro calice per tenere in piedi la maggioranza. E votò Sì ma con l'alibi che sarebbe stata varata una nuova legge elettorale per bilanciare il vulnus di rappresentanza indotto dal taglio degli eletti in alcune aree del Paese. Chiaramente della norma nessuna traccia a causa del naufragio della nuova legge proporzionale con soglia di sbarramento del 5 per cento. Per questo, quasi sicuramente, il tema sarà affrontato nella prossima direzione nazionale del partito (la prima settimana di settembre) in cui il segretario dovrebbe districarsi tra un Sì e la libertà di coscienza. Nella speranza che entro il 20 settembre, la data del voto, si riesca a strappare un accordo sulla legge elettorale almeno in una Camera. Ma è assai difficile. E lo sanno anche nel Pd. «Non saranno mai approvati i correttivi costituzionali e legislativi né le modifiche regolamentari. L'accordo è stato ampiamente disatteso dal Movimento 5S. Per questo il Pd nella prossima direzione dovrebbe esprimersi per la libertà di voto al referendum», avverte in un comunicato il comitato Dem per il No. Anche se dai massimi vertici si cerca di stringere i tempi, nella speranza di riuscirvi. «Sono per dare subito un'indicazione per il Sì nel rispetto per le argomentazioni del No. Ma questo Sì sarà più forte se si incardina in un ramo del parlamento la legge elettorale e si comincia a votare», ha spiegato non caso Goffredo Bettini, ex parlamentare e considerato ideologo di Zingaretti.
 


Ma il partito del No nel Pd sembra maggioritario. Oltre a Matteo Orfini, ci sono dirigenti come i parlamentari Tommaso Nannicini e Francesco Verducci («Tagliare la democrazia è come amputare una parte del corpo, ce ne pentiremo per anni», dice ieri quest'ultimo) e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Nel complesso, tuttavia, le aree con il maggior peso nel partito, da Areadem a base Riformista, rimangono sulla linea del Sì. Ma con dubbi interiori enormi e senza fare campagna. «Il taglio lineare dei parlamentari non è un'eresia e neanche una cura. Voterò Sì al referendum confermativo perché questo tema è frutto di un accordo sottoscritto per formare il nuovo governo di cui tutti erano consapevoli ma per il mio Sì non ricorrerò alla gran cassa», argomenta il capogruppo dem al Senato, l'ex renziano Andrea Marcucci. Mentre c'è chi, come l'europarlamentare Andrea Cozzolino, annuncia che farà campagna: «Sono per il Sì e mi batterò perché prevalga nel Paese. Comprendo molte preoccupazioni espresse ma davvero non è a rischio, né la democrazia, né la rappresentanza territoriale. Se davvero abbiamo a cuore la centralità del Parlamento in questo passaggio storico dobbiamo fare altre scelte dirimente, che non attengono al referendum: nuovi regolamenti parlamentari e leggi elettorale che rendano la figura del parlamentare rispondente alla Costituzione». Ma che il Pd sia spaccato e rischi di farsi male lo sanno tutti nel partito. Specie se la vicenda referendum si incrocia, in queste ore, con il voto nelle Regioni dove il Pd teme una sconfitta del 4 a 2 e la leadership del segretario viene messa in discussione. «Vedo nascere comitati Dem per il Sì al referendum, come il mio, e altri per il No di altri esponenti del Pd. Un partito diviso non va bene e bisogna trovare la coerenza e la chiarezza», avverte Stefano Pedica della minoranza del Pd.
E aggiunge: «Il Pd è uno e la linea deve essere una, chiara, netta. E chi non ci sta se ne prende tutta la responsabilità. Zingaretti faccia presto e dia una linea, non serve una direzione nazionale ma una decisione». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA