«Non rompiamo con le imprese», la mediazione di Conte e Giorgetti dopo lo strappo con Confindustria

«Non rompiamo con le imprese», la mediazione di Conte e Giorgetti dopo lo strappo con Confindustria
di Alberto Gentili
Giovedì 19 Luglio 2018, 07:00 - Ultimo agg. 11:34
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Lo scontro tra Luigi Di Maio e Confindustria non è finito lì, con le critiche al decreto dignità del direttore generale Marcella Panucci e la furiosa reazione di Luigi Di Maio. Nel pomeriggio da viale dell'Astronomia è partita qualche telefonata, destinazione palazzo Chigi, per provare a riannodare il filo del confronto. E, prima il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti, poi il premier Giuseppe Conte, hanno fatto capire allo stato maggiore confindustriale che il governo non intende andare alla guerra.
 
La posizione di viale dell'Astronomia non è facile. Già con il presidente Vincenzo Boccia aveva criticato un decreto che irrigidisce il mercato del lavoro, rende più costosi i licenziamenti senza giusta causa, rischia di aumentare i contenziosi per via del ritorno della causale in occasione dei rinnovi dei contratti a termine, crea incertezza sul fronte delle delocalizzazioni. Ma non per questo Confindustria intende rompere con il governo, rischiando la marginalità. Anzi, l'obiettivo dell'associazione degli industriali è avere un'interlocuzione con l'esecutivo giallo-verde. Poter incidere e ottenere qualche miglioramento. E in autunno, incassare il promesso taglio al cuneo fiscale.

Per questa ragione in Confindustria sono rimasti basiti davanti alla reazione del vicepremier, ministro del Lavoro e dello Sviluppo che, istituzionalmente, dovrebbe essere l'interlocutore principale. «E' sorprendente ciò che è accaduto», dice una fonte di alto rango, «Di Maio sapeva che a noi quel decreto non piace. Cosa si aspettava dalla relazione della Panucci? Elogi? I problema è che i 5Stelle quando vengono criticati la buttano in propaganda, aggrediscono e contrattaccano. Ed è un peccato: noi cerchiamo il confronto».

L'ha capito Conte, che è corso a mediare pur difendendo il decreto: «Confindustria fa la sua parte, però secondo me ha frainteso perché a leggere con attenzione il decreto non ha nulla da temere». E lo sa Giorgetti che conosce bene il mondo delle imprese e, come leghista, ha a cuore le realtà imprenditoriali che sono (almeno in parte) terreno elettorale del Carroccio. Non a caso Matteo Salvini ha già ottenuto la reintroduzione dei voucher e sta cercando di ammorbidire le causali, convinto di riuscire alla fine ad attutire l'effetto-rigidità sui contratti. In più, nella Lega in molti parlano di «rapporto da ricostruire» con viale dell'Astronomia.

Lo stesso Di Maio, dopo la sfuriata mattutina, ha fatto dettare ai portavoce 5Stelle della commissione Lavoro di Montecitorio un comunicato per dire che il «Movimento non ha nulla contro le imprese, anzi pensiamo alla loro crescita».

Ma in casa grillina la tensione è massima. Il vicepremier teme di non riuscire a convertire in legge il decreto entro la pausa estiva. Per riuscirsi, e scongiurare la decadenza del provvedimento, il testo deve arrivare in aula alla Camera martedì prossimo, approdare in Senato il 3 agosto ed essere ratificato definitivamente da Montecitorio entro venerdì 10. Dopo scattano le vacanze. E se ne riparlerebbe in settembre: troppo tardi.

Il problema, per Di Maio, è che dopo la stima «inattendibile» del presidente dell'Inps Tito Boeri di una perdita secca di 8 mila posti l'anno, è arrivata ieri la stroncatura della Panucci: «Gli effetti saranno peggiori delle stime». E in casa grillina è esplosa la sindrome dell'accerchiamento. Così Di Maio, oltre a parlare di «terrorismo psicologico» si è rivolto direttamente al popolo: «Siamo dalla parte dei cittadini e non faremo passi indietro. Stateci vicini». E il ministro Riccardo Fraccaro ha armato l'artiglieria: «Confindustria fa l'attività tipica delle lobby, ma il periodo della politica al servizio dei poteri forti è finito grazie al governo del cambiamento».
Oltre al j'accuse, Di Maio ha reiterato la minaccia di sfilare le aziende a partecipazione pubblica, tra cui Enel ed Eni, da Confindustria in quanto contraria alla norma (contenuta nel decreto) che vieta la pubblicità per il gioco d'azzardo.

Avvertimento accolto in viale dell'Astronomia senza particolare allarme: «Riusciremmo ad andare avanti ugualmente». Le partecipate versano appena il 3,6% del budget complessivo.

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