Riforme, Renzi offre il modello Tatarella: senatori non eletti ma «designati»

Riforme, Renzi offre il modello Tatarella: senatori non eletti ma «designati»
di Marco Conti
Martedì 22 Settembre 2015, 06:10 - Ultimo agg. 08:36
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Ventiquattr'ore ancora per mettere insieme quel «puntino della riforma», come lo ha definito ieri Matteo Renzi in direzione, in grado di mettere in sicurezza il ddl Boschi. Ventiquattr'ore per trovare un'intesa da ”infilare” nel quinto comma dell'articolo 2 senza dover rivotare tutte le parti del testo già votate in doppia lettura. Al termine della riunione della direzione del Pd che approva all'unanimità la sua relazione, Renzi è soddisfatto e sicuro che alla fine l'accordo si troverà lasciando che siano gli elettori ad indicare i senatori e i consigli regionali a ratificare l'elezione.



BARRICATE

Un doppio passaggio di designazione per un'elezione di secondo livello che come, ricorda Renzi, evoca il «principio Tatarella». Ovvero quel meccanismo messo in piedi nel 1995, valido per l'elezione dei consigli regionali, e alla cui messa a punto contribuirono gli allora parlamentari Dc Leopoldo Elia e Sergio Mattarella. Se il ruolo discreto del Quirinale stia aiutando la maggioranza, e soprattutto il Pd, ad uscire dal guado è difficile dirlo ma l'evocazione fatta ieri da Renzi sembra quella giusta per smuovere una sinistra del Pd molto divisa ma ancora sulle barricate. Renzi - che ieri ad inizio dalla riunione ha rinunciato a proiettare slide e video - ha fretta di archiviare la partita delle riforme anche per il peso che il dibattito sta avendo sull'elettorato del Pd. Malgrado non intenda cedere di un millimetro sulla modificabilità dell'articolo 2, il premier è pronto ad accogliere un emendamento in grado di portare a più miti consigli buona parte della minoranza interna. Domani sera scadono i termini per la presentazione degli emendamenti alla riforma costituzionale e l'idea potrebbe essere quella di un emendamento, a firma del capogruppo Luigi Zanda, nel quale si stabilisce che ”i senatori vengono eletti dai consigli regionali sulla base di una designazione effettuata dagli elettori”. Sarà poi una legge ordinaria a stabilire il recinto entro il quale le amministrazioni regionali dovranno procedere per stabilire i meccanismi di voto. L'applicazione del ”lodo Tatarella”, sembra sbloccare la trattativa e potrebbe rappresentare quella «soluzione politica» che il presidente del Senato Pietro Grasso evoca da tempo. Con la minoranza interna e con Grasso il segretario del Pd è stato molto duro. Ai primi ha ricordato che la legislatura è cominciata con una «non vittoria» alle elezioni. A Grasso ha lanciato una sorta di avvertimento, solo in parte ridimensionato nell'intervista a ”Unità Tv”, sostenendo che in caso di riapertura della discussione sull'articolo 2 - e quindi di affossamento della riforma - avrebbe convocato i gruppi del Pd di Camera e Senato. Una minaccia di crisi di governo e un latente scontro istituzionale che non può non preoccupare il Quirinale che con palazzo Chigi ha un rapporto costante.



TERMINI

Sullo sfondo di una partita ancora complicata resta il non detto sull'Italicum. Ieri pomeriggio in direzione nessuno ha sollevato il problema della legge elettorale, anche perché Renzi lo ritiene archiviato e non possibile oggetto di baratto. Tra i centristi della maggioranza, e non solo, si continua però a credere che la promessa di una modifica al premio di maggioranza, trasferendolo dal partito alla coalizione, possa essere per Renzi il modo giusto per oliare l'iter della riforma costituzionale e fare in modo, grazie anche a FI, che la riforma venga approvata entro il 16 ottobre.