Salvini: «D'ora in poi sarò io a trattare con Draghi». L'avviso del leader leghista a Giorgetti

Salvini: «D'ora in poi sarò io a trattare con Draghi». L'avviso del leader a Giorgetti
Salvini: «D'ora in poi sarò io a trattare con Draghi». L'avviso del leader a Giorgetti
di Marco Conti
Venerdì 8 Ottobre 2021, 10:00 - Ultimo agg. 11:11
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Sottolineare di voler incontrare «almeno una volta alla settimana Draghi», serve a Matteo Salvini per ribadire chi comanda nel partito e non significa che lo trasformi in una sorta di quarto ministro leghista. D'altra parte, quando Salvini era realmente ministro, nel primo governo di Giuseppe Conte, ha di fatto recitato lo stesso copione che svolge ora. 

La stagione è però nettamente cambiata e le urne raccontano che la Lega di lotta e di governo non rende. Oltretutto a Salvini manca l'arma del voto anticipato e non solo perché siamo in pieno semestre bianco, ma anche perché l'ala Nord del partito, composta soprattutto dai governatori Zaia e Fedriga, guarda con una certa attenzione ai miliardi del Pnrr e non intende restare fuori dal governo. Posizione lontanissima, quindi, da quella predicata dall'altra fazione interna al partito che, con Alberto Bagnai, responsabile economico del partito, attribuisce il calo dei consensi proprio alla scelta di appoggiare l'esecutivo Draghi. 

Il segretario mette nero su bianco, nel breve comunicato diffuso via social, quel con Draghi ci parlo io che ha comunque il pregio di azzerare la discussione interna, riportando sul segretario onori ed oneri di una scelta (la nascita del governo Draghi) che Salvini a suo tempo fece prima del Pd e del M5S, rendendo impossibile la campagna acquisti al Senato che avrebbe portato al terzo governo Conte. Nel dare il via libera all'operazione di trasparenza avviata con la riforma del catasto, Salvini si è quindi voluto riappropriare anche della gestione della pattuglia leghista che sta al governo. D'altra parte Draghi, al momento della formazione del governo, si è scelto i ministri di ogni partito. Il responsabile del Mise, Giancarlo Giorgetti, si è sempre professato super-draghiano ma nelle ultime esternazioni ha disegnato una linea politica che ha scatenato l'ala sovranista e no-euro imbarcata da Salvini nel 2018. 

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In attesa di decidere quale direzione dare alla Lega, Salvini ieri ha prima incontrato al Senato Giorgetti e il presidente del Friuli Massimiliano Fedriga e poi i responsabili regionali del partito. La strigliata c'è però stata solo per i secondi. Fedriga è arrivato all'appuntamento a seguito di un'intervista nella quale dice che «non ci sarà un congresso federale della Lega», ma «non ci sarà neppure una crisi di governo». Come dire a Salvini non ti insidio la segreteria, ma Draghi non si tocca. Il collega del Veneto Luca Zaia, si limita al secondo punto e dice «questo era ed è l'unico governo possibile». In buona sostanza le due leghe siglano una pax che nelle intenzioni dovrebbe fare della Lega quel «partito responsabile» che rivendica Fedriga. Stretto nella morsa, Salvini ieri si è riappropriato dello scettro pur sapendo che ha limiti di manovra molto stretti. Rivendicare - come frutto dell'ultimo strappo seguito alla non partecipazione dei ministri leghisti al consiglio dei ministri sul decreto fiscale - l'apertura delle discoteche, o il mancato intervento sulle concessioni balneari funziona solo in parte. Draghi aveva promesso in estate al ministro Garavaglia di valutare la riapertura delle discoteche ad ottobre. E così è stato anche perché ai suggerimenti del Cts, Draghi ha sempre aggiunto una valutazione politica e un'assunzione di responsabilità. Se poi la revisione delle concessioni balneari non è prevista dal Pnrr, non si vede perché Draghi dovrebbe rimettere in discussione la legge che nel 2019 firmò l'allora sottosegretario leghista Gian Marco Centinaio e che vollero con forza anche i 5S. 

Le rivendicazioni leghiste su questo o quel provvedimento non disturbano ora Draghi che però in futuro non intende procedere con il metodo dello strappo e della ricucitura che invece sembra proporre Salvini rivendicando quell'incontro a due «almeno una volta la settimana».

Nel comporre il governo, Draghi non ha voluto vicepremier e non intende crearne di fatto. Ma per Salvini, che sinora ha dimostrato di saper recitare un solo copione, non è facile adeguare l'identità della Lega a quella di un governo d'emergenza senza perdere quell'ala del partito che continua a considerare un errore aver favorito e poi appoggiato l'attuale governo. Con più clamore si tratta degli stessi contorcimenti che agitano ora il M5S, ma Salvini ha un problema in più: i presidenti di Regione del Nord che custodiscono la cassaforte dei voti del partito. 

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