Scontro istituzionale, ora alzare una diga di responsabilità

di Alessandro Barbano
Lunedì 28 Maggio 2018, 07:00 - Ultimo agg. 18:15
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Al punto in cui è giunto lo scontro istituzionale, che non ha precedenti nella storia della Repubblica, c'è da temere anzitutto per quel che potrà accadere nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Tre grandi rischi il Paese è chiamato ad affrontare, dal momento che l'incarico che questa mattina il Presidente Mattarella affiderà a Carlo Cottarelli sarà con ogni probabilità bocciato dalle Camere, e il suo governo neutrale si limiterà ad accompagnare il Paese alle urne, nel pieno di una crisi politica ed istituzionale.

Anzitutto, c'è da temere che la campagna elettorale si accenda e si radicalizzi come mai è accaduto fino ad oggi. I due vincitori del 4 marzo hanno potenti argomenti a disposizione per costruire una narrazione assai suggestiva, presentandosi come i difensori della volontà popolare contro i «poteri forti», contro i diktat di Bruxelles, le ingerenze della Germania, o i pesanti condizionamenti dei mercati e della finanza internazionale. Che pure non mancano.

C'è poi il rischio, anzi la certezza che, disponendosi lungo il crinale sovranismo-europeismo, la prossima competizione elettorale trascini l'Italia in una dialettica molto simile a quella affrontata negli anni scorsi dalla Grecia, pro o contro l'euro. Finora questo scenario ci era stato risparmiato, nonostante tutti i partiti e i leader che hanno governato l'Italia nell'ultimo decennio abbiano sentito l'Europa stretta. Tutti hanno provato ad alzare la voce, minacciando la disdetta dei patti e la violazione dei vincoli, ma nessuno aveva finora mai pensato, in cuor suo, di uscire dalla moneta unica, e meno che mai dall'Unione. Da oggi, questa eventualità entra nel novero delle cose possibili, o diviene comunque terreno di contesa politica.
Ragion per cui dovremo attrezzarci di fronte ad un terzo, serio rischio: che i titoli del nostro debito pubblico siano vulnerabili alle oscillazioni di un mercato che, in condizioni di estrema fibrillazione politica e di aperto scontro, prenderà le sue contromisure. Se aumenta l'incertezza, aumentano infatti i costi di servizio del debito: non c'è bisogno di nessun complotto perché questo accada.
 
La situazione è così grave che quasi non c'è tempo per ragionare sugli errori commessi. Occorre che tutti gli attori politici e istituzionali diano prova in queste ore del più grande senso di responsabilità, anche se nessuno detiene la chiave di quella pedagogia civile e pubblica di cui il Paese avrebbe, in quest'ora difficile, assoluto bisogno. Se siamo arrivati al punto in cui siamo, è certo per chiusure e irrigidimenti che hanno messo a repentaglio i delicati equilibri del sistema. La moral suasion esercitata dal Quirinale è stata forse troppo visibile ed esposta, divenendo così, volente o nolente, aperta contrapposizione. Cosa che evidentemente non ha più permesso al Colle di recedere da propositi e veti fattisi materia di dibattito aperto.

Dall'altro lato Salvini e Di Maio avevano il diritto-dovere di provare a cambiare l'Europa: stavolta toccava a loro. Certo, la demagogia di cui fanno uso a larghe mani può intimorire, e la loro inesperienza può far dubitare della riuscita dell'impresa, ma queste riserve non legittimano uno stop alla loro ambizione di tentare dove altri hanno fallito.

Hanno tuttavia affidato questo tentativo a un nome, quello di Paolo Savona, sul quale non c'è stata condivisione da parte di Sergio Mattarella. A quel punto, avrebbero potuto prendere un'altra strada: non rinunciare al governo del cambiamento, e nemmeno sacrificare il disegno politico e programmatico messo per iscritto nel contratto, ma riconoscere al Presidente della Repubblica il diritto a un'autonoma valutazione, accogliendo l'invito a fornire un altro nome per l'importante casella del ministero dell'Economia. Che per esempio avesse, secondo le richieste del Capo dello Stato, un profilo politico. Se avessero voluto farlo, avrebbero potuto governare: non è pensabile infatti che l'unico ministro dell'Economia in grado di portare avanti i loro propositi fosse Paolo Savona. Evidentemente, la cifra elettorale di queste due forze, cioè la prospettiva di capitalizzare in termini di consenso, in nuove elezioni, l'esito di questo scontro, ha prevalso sul senso di responsabilità.

È bene rammentare, a questo riguardo, che in una democrazia costituzionale non c'è nessun potere che prevalga incondizionatamente su tutti gli altri: neppure la sovranità del popolo può, infatti, esprimersi in modo assoluto, ma deve esercitarsi nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Forme e limiti che comportano garanzie e impongono bilanciamenti. Quando Salvini afferma che ieri pomeriggio Giuseppe Conte è salito al Quirinale per consegnare la lista dei ministri, lasciando intendere che al Capo dello Stato toccasse soltanto di compiere gli atti di nomina conseguenti, sembra invece immaginare che la Presidenza della Repubblica non sia molto diversa da un semplice ufficio di stato civile, un luogo dove si prende atto e si registra passivamente la volontà politica della maggioranza.

Così non è e non può essere. L'ambizione di riscrivere l'europeismo, definendo un'offerta politica diversa, una diversa retorica pubblica e il senso di una nuova sovranità nazionale, rientra nelle sfide della politica. Per condurla, e anche per vincerla, non c'era e non c'è alcun bisogno di abbattere il palazzo del Quirinale.
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