La scossa migranti sul governo

di Mauro Calise
Lunedì 15 Aprile 2019, 08:00
3 Minuti di Lettura
Niente di nuovo sul fronte del governo. Più si avvicinano le elezioni europee, più aumenta il livello degli attacchi reciproci tra i due partner. Per il momento, solo verbali. Ma col rischio che, a furia di tirare, la corda possa spezzarsi. Anche perché, fino a ieri, i nodi in cui si incrociavano le lingue erano - per quanto rilevanti - ancora in divenire. L'autonomia delle regioni, le grandi opere infrastrutturali, il quanto e quando della flat tax sono tutti argomenti che incidono non poco sulle nostre tasche, e sui rispettivi elettorati dei due litigiosissimi alleati. Ma si tratta di decisioni che si possono rallentare, rimandare e comunque trasformare in oggetto di contrattazione.

Diverso è il caso dell'emergenza migranti che sta tornando ad affacciarsi sulle nostre coste, e case. In questo caso - come è già successo in passato - si tratta di decisioni da prendere in tempi strettissimi, ed in condizioni di pressioni molto forti dell'opinione pubblica divisa in opposte e agguerrite fazioni. E dalle prime avvisaglie già si vede che i rapporti tra i due partner da sospettosi potrebbero rapidamente trasformarsi in bellicosi. Per via di un cambiamento di linea che si registra nei Cinquestelle. Il profilarsi di un intensificarsi degli sbarchi per i bagliori di guerra in Libia non ha mutato di una virgola l'atteggiamento di Salvini. Il vice-premier e ministro degli interni ha ribadito che, per quanto lo riguarda, il numero delle imbarcazioni e del loro carico di disperazione non sposta il suo inflessibile atteggiamento di una virgola.

Già, ma - appunto - quanto lo riguarda? Chi è - a norma di costituzione - intitolato a prender decisioni sugli sbarchi?

Fino a ieri, gli altri ministri formalmente - o potenzialmente - interessati avevano glissato, e lasciato che il capo della Lega occupasse tutta la scena. Oggi, la situazione sta cambiando. Non si è ancora pronunciato Toninelli, cui spetterebbe in prima battuta la parola sulla chiusura dei porti. Nel Pd, non si è ancora spenta l'eco dello scontro frontale tra Minniti e Delrio quando, per la prima volta, si trattò di scegliere come muoversi su questa delicatissima questione. E appartenevano allo stesso partito. Che succederà se il ministro cinquestelle alle infrastrutture decidesse di non distrarsi - come ha fatto finora - ma di prendere molto sul serio le competenze che gli appartengono? Una battuta - molto tagliente - di Di Maio sembra preludere a un'inversione di rotta. Appena, infatti, si sono riaccese le schermaglie sulla questione migranti, il capo dei Cinquestelle ha insinuato che non sarebbe di competenza del Ministro degli Interni. E il Premier Conte, cui spetterebbe comunque l'ultima parola, si è affrettato ad aggiungere che - in presenza di una emergenza umanitaria - l'esecutivo che lui dirige non potrebbe volgersi dall'altra parte.

Se e quando queste scintille potranno trasformarsi in un incendio non è al momento prevedibile. A meno di sviluppi clamorosi, fino alle elezioni europee si troverà sempre qualcuno pronto, in extremis, a gettare acqua sul fuoco. Ma si tratta di un equilibrio che sta diventando sempre più precario. Anche perché c'è una ragione specifica per la svolta che si sta profilando da parte dei Cinquestelle. Nell'anno circa in cui hanno governato insieme, Salvini ha sottratto a Di Maio - stando ai sondaggi - buona parte degli elettori grillini orientati verso il centro-destra. Con la sua aggressiva e efficacissima comunicazione sovranista e neo-identitaria, il Capitano ha indebolito enormemente il suo alleato sul fianco destro. Ora, per la prima volta, un'insidia di segno opposto si profila sul fianco sinistro. L'elezione di Zingaretti a segretario sembrerebbe - con il suo approccio inclusivo - aver frenato l'emorragia di voti del Pd verso la componente più radicale del suo elettorato. Il prossimo passo potrebbe consistere in cominciare a recuperare una parte della - molto consistente - fetta di votanti trasmigrati dai democratici ai grillini. Oggi, il vero rischio per la leadership di Di Maio non sta più a destra, ma a sinistra.

Viene ormai dato per scontato un sorpasso - anche vistoso - della Lega. Ma se anche il Pd superasse nell'urna europea i Cinquestelle, potrebbe innescarsi all'interno del Movimento un terremoto. Le cui onde sismiche si propagherebbero in un battibaleno alle onde del Mediterraneo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA