Se la borghesia
divorzia dalla sinistra

di Biagio de Giovanni
Martedì 6 Marzo 2018, 08:47 - Ultimo agg. 09:26
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L’Italia si presenta come una mela divisa in due, la Lega al Nord, il Movimento Cinque stelle al Sud. In questa forbice, la sinistra è sparita. Eventi di tipo nuovo stanno sconvolgendo, in forme diverse, lo scenario italiano ed europeo. Sembra che dalla scena stia scomparendo, in tutte le sue varianti, il riformismo nella larga accezione di centro-sinistra. Tutto si deposita, velocemente, nell’archivio della memoria, lo spazio politico si svuota e si riempie di altre forze. La sconfitta del Pd non dà un segnale solo all’Italia, né nasce solo da errori, pur vistosi, della sua classe dirigente, ma forse coglie l’aspetto più profondo di un processo che, in forme diverse, si espande da tempo soprattutto nell’Europa continentale, e in Italia, naturalmente, con caratteri specifici ben incardinati nella sua storia nazionale. 

Nell’Europa continentale è in atto la disgregazione delle socialdemocrazie, vedi Francia, Spagna, Austria, ma anche Germania, dove l’Spd, dopo aver toccato il fondo della sua consistenza elettorale alle ultime votazioni, prova, ora, dopo gran travaglio, a rimettersi in campo come forza minoritaria del nuovo governo Merkel. Nell’Europa continentale la gloriosa storia della socialdemocrazia, nelle sue diverse varianti, è pressocchè scomparsa, e ogni tentativo di farla risorgere sa di accanimento terapeutico. L’impossibilità, per gli Stati nazionali, di garantire la coesione sociale ha fatto da cartina di tornasole della crisi. Ancora una volta, i processi di internazionalizzazione delle società stanno mutando tutto. 

Anche in Italia, le varianti del riformismo classico vanno sparendo dalla scena. E si assiste all’insuccesso clamoroso di «Liberi e uguali» alla ricerca di un popolo ormai introvabile, ultima occasione per aggregare gli spezzoni della vecchia sinistra; si assiste alla caduta verticale del Pd che pure aveva provato a smarcarsi dai canoni più consumati della socialdemocrazia e da ogni forma di massimalismo anche verbale della sinistra storica, e si era collocato a mezza via tra un tradizionale partito di governo di centro-sinistra moderato e l’attenzione sia a una qualche redistribuzione del reddito, possibile nelle difficili condizioni date, sia alla tematica dei diritti civili. E aveva perfino provato ad adeguare la propria cultura del lavoro a quella che si va delineando nelle nuove condizioni globali. La società italiana ha respinto ogni appello a quel voto, ha vistosamente gettato quel partito in un angolo. La società, non le sue zone marginali, non i disperati delle periferie, ma, in varie forme e in varie collocazioni, la piccola-medio borghesia del Nord e del Sud, con «avanguardie» intellettuali di tipo inedito che, con il loro linguaggio, disegnano un rinnovato senso comune antisistema. 

Le due punte di una cultura politica antisistema avvolgono dunque l’Italia. Il territorio tradizionale si va svuotando anche come conseguenza di una lotta interna, e all’ultimo sangue, che si è svolta tra i resistenti della vecchia sinistra e il tentativo di innovazione culturale di quel campo, con la sconfitta comune delle forze in campo. Chi credeva che, collocando sul rogo chi aveva osato mettere in discussione la storia sacra, tutto tornasse come prima, si è girato intorno e ha scoperto il vuoto. Si sarà domandato: dov’è mai finito il popolo? Liberi, così, da vari ingombri, le forze antisistema dilagano. Perché continuo a chiamarle così, pur superando, esse, la metà degli elettori? Perché esse si muovono, in forme differenti, e magari in lotta potenziale tra loro -questo non lo posso dire con certezza- in uno spazio dove le vecchie élite sono in ritirata, e quindi le connessioni di sistema vanno in crisi, tutto si presenta possibile perché sembra non incontrare resistenza. La politica sembra dipendere da un semplice atto di volontà, manifestare esigenze o desideri e soddisfarli, avendo messo in disparte tutto ciò che deve essere affrontato attraverso le connessioni di sistema, sovranazionali, internazionali, vincoli globali, alleanze, e collocazioni nella storia d’Europa, con le necessarie distinzioni. Ma questa borghesia avanzante, e la sua rappresentazione politica, non sembra sensibile al tema, tutto è immediato, tutto fa parte dello scenario che la circonda, la storia non importa. Difficile dunque indicare soluzioni politiche, in una situazione difficile, ma se dovessi dir la mia, in modo del tutto provvisorio e magari azzardato, direi che non sarà facile collegare il «nuovo» che avanza (questa Lega è nuova, non solo perché non è più Lega Nord, ma perché passa dal 4 al 18 %) a spezzoni del sistema storico sconfitto, soprattutto allo spezzone di sinistra. Per quest’ultimo sarebbe un semplice contraddire tuttociò che he detto, far decadere la parola detta a pura propaganda. Ma, a parte richiami di questo tipo, in politica sempre superabili, sembra che sia giusto mettere alla prova i vincitori, nelle forme che per loro saranno possibili, se lo saranno, fargli vivere le complesse difficoltà sistemiche, far comprendere le traversie della politica e della storia, magari mettere alla prova anche la loro capacità di invenzione. Insomma, farle misurare con la realtà del mondo. 

Di mezzo, certo, c’è l’Italia, ma è proprio l’Italia che ha deciso così, e la democrazia è anzitutto adeguare le proprie forme a ciò che un paese ha voluto. 
 
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