Se la destra rimette
la politica al centro

di Biagio de Giovanni
Martedì 24 Ottobre 2017, 08:07
5 Minuti di Lettura
 Finalmente ora, a cose fatte, si avverte quale significato politico può avere l’esito del voto di ieri in Lombardia e in Veneto, e come sia stato sottovalutato negli ambienti anche più avvertiti della politica italiana, a cominciare dal Pd. È stato lasciato un rilevante spazio vuoto nel quale con forza hanno fatto irruzione temi che sembravano dimenticati, dopo il relativo fallimento degli intensi anni di discussione sul federalismo, e che solo i fatti di Catalogna, certo di tutt’altra natura, ma pur sempre legati alle idee delle piccole patrie, hanno contribuito a riportare nel dibattito pubblico.

Il problema, per il Pd, non era quello di dichiarare un secco no, ma, sì, quello di star nel fuoco della campagna, non con atteggiamento astensionistico (vedi il Pd veneto, clamorosamenre smentito) o peggio con l’affermazione di superiorità: sono soldi sprecati. Anche per chi, come il sottoscritto, non ama i referendum su questioni di grande complessità - vi immaginate un referendum sull’euro? La Grecia insegni - è fuor di dubbio che quello di domenica sia stato un esercizio di democrazia.

Ed era dunque necessario entrare nel merito dopo aver combattuto, nel referendum del 4 dicembre, per l’idea di una forte visione centrale dello Stato: e la sostanziale assenza del Pd mi sembra indice di una forte sottovalutazione di quella che una volta si chiamava la “battaglia delle idee”. L’effetto politico a favore della Lega pare assai notevole, anche se si dovrà valutare con attenzione la scarsa partecipazione al voto di Milano (e Venezia), come se l’elettorato delle grandi città europee e cosmopolite volesse sottrarsi, in parte, al groviglio di temi e di interessi che il fatto referendario ha messo in moto.

Ma il popolo profondo e provinciale sembra pensarla in altra maniera, e sicuramente si è messo in movimento un processo politico cui si deve dedicare estrema attenzione. I vincoli posti alle competenze regionali dall’art. 117 della Costituzione sono tali da non incoraggiare, certo, visioni secessioniste; ma, allo stato delle cose, più che entrare nel merito di ciò che potrà accadere, di quali cose potranno spostarsi dal centro alla periferia, e a stare alla costituzione non sono molte né decisive, credo che la cosa su cui oggi si debba riflettere sono gli effetti immediatamente politici sulle forze in campo.

Giacché è chiaro che questo referendum, come il voto siciliano che si approssima, formano insieme l’inizio della campagna elettorale politica. E l’impressione è di un centro-destra all’attacco nella sostanziale incertezza delle altre forze politiche. Sul Pd ho già detto qualcosa e qualcosa aggiungerò. Il Movimento 5 stelle, pur fautore della democrazia diretta, è paradossalmente rimasto fuori dal gioco mostrando d’improvviso tutta la sua sostanziale fragilità quando il gioco di fa duro, perché non ha nessuna visione dell’Italia e si muove a tentoni, ora dicendo ora disdicendo, tutto annegato in un indistinto vociare tenuto insieme dalla presenza di un malcontento generalizzato. Naturalmente non bisogna abbassare la guardia nel combattere una forza inadatta, allo stato dei fatti, a governare un paese come l ‘Italia.

Magari matureranno, ma ci vuol tempo. Il centro-destra mi pare all’attacco pure in formazioni ancora distinte, cosa che in questa fase può costituire più un elemento di forza che di debolezza: basta ricordare qualche elemento di strategia militare e ciò che fece l’allora tenente Rommel a Caporetto, attaccando con un solo reparto, e facendo in un giorno novemila prigionieri italiani. Vediamo un po’ di cose. La Lega, anzitutto. È vero che il tema referendario non è più la parte dominante del patrimonio di Salvini, ma non è meno vero che una Lega data oggi al 15%, con la cura Salvini, rimettendo in campo una parte del proprio patrimonio tradizionale, pur mantenendo il grido dell’unità nazionale di rivolta contro l’immigrazione e l’insicurezza dei confini, diventa il nucleo forte di una alleanza politica in movimento.

Fratelli d’Italia contraria al referendum? Ma la cosa può subito rientrare ritrovando legami con altri aspetti della politica salviniana e berlusconiana. Su tutto, il vecchio cavaliere che chiede autonomia per tutte le regioni, ma in un orizzonte addolcito dalla ripetute quanto generiche rivendicazioni dell’unità nazionale. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per una campagna elettorale politica. Si vorrebbe la stessa cosa sulla sinistra dello schieramento, ovviamente su posizioni alternative a cominciare dalla questione dell’unità e della forza decisionale dello Stato, che, ripeto, era stata messa al centro del referendum del 4 dicembre e che, opportunamente approfondita e spiegata, non deve essere per nessun motivo abbandonata. Ma a sinistra la lotta continua con impressionante costanza.

Si aprono discussioni che si chiudono subito su se stesse. Ciò chiarito, il Pd, soprattutto nella situazione nuova, deve accelerare sulla propria identità politica e programmatica. Amare le idee. Tenerle ferme. Combattere per esse. Sono esse che danno identità e forza alla politica. Se non si ha fiducia in questo, allora viva il grido inarticolato, il gesto plateale e chiassoso che si sa da dove proviene. Le idee, s’intende, calate in progetto politico e in risposte a problemi emergenti. Il grande capitolo: l’Italia e le nuove generazioni. Lo Ius soli, anche opportunamente riguardato, sembra un punto dirimente per collocarsi nella storia d’oggi. La difesa attiva dell’unità nazionale ad evitare i possibili effetti divisivi del referendum lombardo-veneto.

Un ragionevole e attivo rapporto con i grandi Stati per la costruzione di una nuova Europa, oggi minacciata nelle sue fondamenta.
Un orizzonte di questioni si spalanca oggi davanti a chi è disposto a pensare nel corpo vivo della lotta politica, anche perché c’è ancora molto spazio libero e si sono aperti grandi vuoti nell’intelligenza pubblica. Il dibattito politico è assai decaduto, bisogna ricostruirlo. È il compito che dovrebbe esaltare una classe dirigente di nuova formazione. Se non ora, quando?
© RIPRODUZIONE RISERVATA