La bomba Calenda, che sta terremotando il Pd, fa paura pure a M5S, che detesta più di ogni altro l’ex ministro dello Sviluppo Economico. Così si spiega il rilancio che a naso sembra più tattico che strategico fatto ieri da Luigi Di Maio sulla candidatura bis di Virginia a sindaco di Roma. Il timore stellato è quello di essere lasciati in un angolo dai dem a causa della tentazione Calenda. E insomma: voi volete lui e noi stellati vi diciamo che così vi giocate l’alleanza rossogialla e noi ci teniamo la Raggi.
Ma prima di dire «sostengo Virginia, ha lavorato bene e non ho mai pensato di scaricarla», Di Maio in tivvù aveva fatto pensare - un doppio gioco? un modo per tenere la Raggi sulle spine, accarezzandola ma anche no? - l’opposto. Parlando con Lucia Annunziata aveva detto: «Dobbiamo investire in sindaci che siano in sintonia con la coalizione di governo». E siccome la Raggi non lo è, questa è apparsa una bocciatura di Virginia. Poi aveva aggiunto: «La Raggi? Non mi fossilizzerei sui nomi». Il che ha scatenato sconcerto e preoccupazione nell’entourage della sindaca, entusiasmo nel Pd («Finalmente Di Maio ha scaricato quella frana della sindaca!») e rabbia nei vetero-grillini modello ex ministra Lezzi: «Virginia non si tocca!».
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Ma niente, nel giro di poco arriva la precisazione del suo staff: «Fa becera strumentalizzazione chi dice Di Maio non vuole la sua ricandidatura».
Dunque la situazione è in movimento, e nella trattativa (a Roma un candidato comune, senza Raggi, ma a Napoli un civico più vicino agli stellati e a Torino idem?) non potrà non pesare il fatto che gran parte di M5S la Raggi non la vuole proprio: da Roberta Lombardi a buona parte dei gruppi parlamentari e di quello consiliare. E agli Stati Generali di novembre (dove si deciderà la guida collegiale e ieri il Dibba ha detto: «Ok ma si parli pure di temi») la Raggi potrebbe finire nella polvere o salvarsi.
Di Maio è un tattico. Ieri ha tirato in ballo la Raggi, confusamente, anche per lanciare questo segnale a Zingaretti che lui per primo vede assediato da quelli che nel Pd vogliono sostenere Calenda. Caro Nicola - è il messaggio di Di Maio - sappi che se vai su Calenda salta ogni tavolo comune sulle città, noi ci teniamo fortissimamente la Virginia e vediamo chi si fa più o meno male. Un guazzabuglio capitolino, ecco. In cui ci si inserisce anche da Bergamo. Il sindaco Giorgio Gori, personaggio nazionale, non zingarettiano, va all’attacco: «La disponibilità di Calenda a candidarsi andrebbe accolta dal Pd come una buona notizia».
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Quanto al centrodestra, la caccia al candidato continua. Per ora siamo agli identikit. Salvini vuole questo: «Un imprenditore dotato però di forti capacità politiche. A Roma servirebbe uno come Bucci, il sindaco di Genova che ha fatto un bel colpo con la costruzione del nuovo ponte. Servirebbe uno che sappia legare la rinascita di Roma ai fondi del Recovery, che li sappia maneggiare bene e spendere al meglio. Un pragmatico vero». Un po’ come Calenda? Per scherzo, il senatore salvinista-berlusconiano Giro dice proprio così: «Ma perché Calenda non ce lo prendiamo noi?». Boutade appunto. E intanto Calenda aspetta due sondaggi: uno gli dirà quanto prenderebbe in una corsa solitaria, un altro lo peserà in un eventuale alleanza con il Pd. La dem Patrizia Prestipino, coordinatrice della corrente Base riformista a Roma, apre alla candidatura del leader di Azione così: «Sarebbe meglio con un ampio sostegno». Ossia lui con il Pd. Il che significherebbe, per Di Maio, Virginia forever.