Recovery plan e scuola, il Sud arranca: per realizzare un'opera pubblica 450 giorni in più

Recovery plan e scuola, il Sud arranca: per realizzare un'opera pubblica 450 giorni in più
di Nando Santonastaso
Giovedì 4 Agosto 2022, 07:00 - Ultimo agg. 5 Agosto, 08:14
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Che l'attuazione del Pnrr sarebbe stata per il Mezzogiorno una corsa contro il tempo lo si era capito subito. Ottanta miliardi da spendere entro il 2026, con un sistema amministrativo locale da anni in affanno, per carenza di personale e criticità finanziarie di ogni tipo, sono sembrati una sfida a dir poco complicata, con un esito assai incerto anche prima della crisi di governo. E ieri la Svimez, nelle anticipazioni del Rapporto 2022, certifica la paura del Sud di non farcela con dati e analisi che sono ben più di un allarme e che, come scrive il ministro per il Sud Mara Carfagna, rendono ancora più incomprensibile l'anticipata fine dell'esecutivo di Mario Draghi. Tra scadenze che potrebbero già adesso essere saltate per gli appalti delle infrastrutture sociali e le conseguenze dello choc della guerra in Ucraina su imprese (costi di energia e trasporti alle stelle) e famiglie (beni di consumo frenati dall'inflazione), il Sud rischia di vedere di nuovo crescere il divario con il Nord nei prossimi due anni. E gli impietosi numeri sulla scuola, di cui ci occupiamo a parte, ne sono la prova forse più evidente. 

Partiamo dalle opere pubbliche. «Se gli enti locali del Mezzogiorno non dovessero invertire il trend e rendere più efficiente la macchina burocratica necessaria all'affidamento dell'appalto, all'apertura del cantiere e alla realizzazione dei lavori, avrebbero dei tempi estremamente stretti per portare a conclusione le opere nel rispetto del termine ultimo di rendicontazione fissato per il 31 agosto 2026», spiega Luca Bianchi, direttore generale della Svimez, nella conferenza stampa di ieri a Montecitorio.

Rispetto alla media nazionale (1.007 giorni), i comuni del Sud impiegano infatti mediamente circa 450 giorni in più per portare a termine la realizzazione delle infrastrutture sociali. In ognuna delle tre fasi delle opere (progettazione, esecuzione e conclusione dei lavori) il Mezzogiorno presenta evidenti ritardi rispetto al Centro e al Nord che si accumulano soprattutto nella fase di cantierizzazione (esecuzione). Morale: «Gli investimenti del Pnrr in infrastrutture sociali nel Sud dovrebbero essere avviati al massimo entro fine ottobre 2022 per riuscire a chiudere il cantiere entro la conclusione del Piano (agosto 2026)». Per dare un termine di paragone, Svimez spiega che i tempi per le altre macro-aree sono più diluiti: maggio 2023 per il Centro e l'estate 2024 per le aree settentrionali. 

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La differenza c'è tutta e anche se l'Associazione ha sempre manifestato più di un dubbio sull'impostazione del Pnrr («Un progettificio senza anima» lo definisce anche ieri il presidente Adriano Giannola, riferendosi soprattutto all'assenza di indirizzi di politica industriale per il Sud e il Paese), i dubbi sembrano fondati. Anche perché, come detto, pur avendo contribuito al forte rimbalzo del Pil italiano nel 2021 ed essere rimasto in linea anche nel 2022 con la media nazionale, ora lo spettro di una frenata nel 2023 e nel 2024 sembra piuttosto concreto. L'inflazione, ad esempio, colpisce più al Sud (8,4% contro 7,8% della media Italia) e in quest'area un terzo delle famiglie è compreso nella fascia più bassa di reddito). Brusco, di conseguenza, il calo dei consumi, sottolinea Svimez, che si manifesta più sui beni che sui servizi mentre l'occupazione rimane essenzialmente a tempo determinato, con un preoccupante aumento del part time involontario (cioè non richiesto dai lavoratori). Va meglio il capitolo investimenti pubblici, risultati superiori nel Mezzogiorno (12% contro il 10% nazionale) per effetto del Pnrr e della spinta dell'edilizia, trascinata dal Superbonus 110%, con un rilevante contributo anche del turismo. Svimez non entra nel possibile ricasco energetico delle nuove forniture in arrivo dall'Africa che disegnano una prospettiva di hub energetico importante per il Mezzogiorno in chiave euromediterranea. Ma non ha dubbi quando osserva che è al Sud che i risvolti economici della guerra in Ucraina si avvertiranno di più. Costi dell'energia e dei trasporti così elevati come quelli in atto ormai da parecchi mesi non sono sostenibili da aziende di piccole e piccolissime dimensioni. Ed ecco perché, spiega la Svimez, l'instabilità politica e geopolitica rischia di costare non poco in termini di Pil al Mezzogiorno. «Successivamente alla caduta del Governo Draghi si legge nei testi Svimez -, sono emerse delle tensioni nei mercati finanziari internazionali segnalate dal repentino innalzamento dello spread. Le tradizionali preoccupazioni sulla tenuta dei nostri conti pubblici sono state accompagnate dai timori che il tempo necessario per le nuove elezioni politiche e la formazione del nuovo esecutivo possa rallentare il rigido cronoprogramma su cui è basata la piena implementazione del Pnrr». Rispetto dunque allo scenario base, «una prolungata situazione di tensione nei mercati finanziari può determinare una perdita di Pil, nel biennio 2022-2023, di circa sette decimi di punto percentuale a livello nazionale. Nel Sud, la perdita di Pil arriverebbe al punto percentuale, mentre nel resto del Paese risulterebbe più contenuta arrestandosi a sei decimi di punto». 

La frenata non risparmierà le regioni del Nord ma in termini percentuali è al Sud che farà più male: nel biennio 2023-24 le previsioni di crescita si fermano infatti all'1,3% contro l'1,8% ella media nazionale e il 2,1% del Nord. Il rischio dell'inversione di tendenza dell'economia c'è tutto anche perché, come ricorda Giannola, solo da poco le regioni settentrionali sono riuscite a recuperare i valori del 2007 mentre quelle meridionali ancora li devono raggiungere. «Peccato che nel 2007 tutti gli altri Paesi europei crescevano di gran lunga di più dell'Italia», commenta l'economista. 

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