Il rilancio su Tav e rimpasto: «Se M5S non accetta, si vota»

Il rilancio su Tav e rimpasto: «Se M5S non accetta, si vota»
​Il rilancio su Tav e rimpasto: «Se M5S non accetta, si vota»
di Alberto Gentili
Venerdì 31 Maggio 2019, 07:22 - Ultimo agg. 15:06
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«Comunque vada a finire a noi andrà alla grande. Se i 5Stelle si piegano e accettano le nostre proposte perché sono terrorizzati dalle elezioni, benissimo. Finalmente si ricomincia a lavorare. Se invece tornano a risponde solo no, si va alle elezioni e raddoppiamo i parlamentari. Ma devono essere loro a rompere. Non noi». All'ora del caffé, mentre a palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte riunisce un Consiglio dei ministri lampo (10 minuti), Matteo Salvini arringa un drappello dei suoi senatori. Spiega tattica e strategia. E a chi gli chiede perché non vada a palazzo Chigi, risponde secco: «Vado a prendermi un buon gelato al pistacchio».

Con i 5Stelle paralizzati dal voto web sulla leadership di Luigi Di Maio e ancora sotto choc per il tracollo elettorale, Salvini si prende la scena. Fa valere e vedere, plasticamente, che ora comanda lui. Che lui è il premier di fatto. Un atteggiamento che allarma e infastidisce Conte: «Serve al più presto un vertice a tre per mettere a posto le cose, non possono continuare a subire invasioni di campo, qui davvero finisco commissariato...», confida in serata.

Del resto, Salvini anche al premier Salvini ne fa ingoiare tante. Dalle dimissioni del viceministro leghista, Edoardo Rixi, incassate personalmente senza farle transitare direttamente sulla scrivania di Conte. Alla spedizione, di buon mattino con una pattuglia di economisti ad occupare manu militare il ministero dell'Economia. «Ma per la verità è venuto ad ascoltare come il giorno prima Tria e Conte hanno deciso di rispondere a Bruxelles», precisano al Mef.

IL TARGET LEGHISTA
Il vero bersaglio di Salvini però sono i 5Stelle, «quelli che ci hanno accusato e infamato in campagna elettorale senza alcun scrupolo». Così ora dopo ora il vicepremier, forte del suo 34% e del fatto che alcune simulazioni gli accreditano la possibilità di vincere da solo le elezioni con il 40%, alza l'asticella a un'altezza impossibile per Di Maio & C.

Certo, il capo del Carroccio è costretto a far dimettere Rixi per evitare che la crisi venga aperta sulla questione morale. Cosa sconsigliabile. Subito dopo però martella i ministri grillini Danilo Toninelli (Infrastrutture), Elisabetta Trenta (Difesa), Sergio Costa (Ambiente), etichettandoli di fatto come degli incapaci. E rivendica per la Lega il nuovo commissario europeo e il dicastero alle Politiche europee vacante da marzo, quando Paolo Savona passò alla Consob. «Le poltrone dei grillini però non ci interessano», garantiscono nell'entourage del vicepremier leghista. Anche se già c'è chi in Parlamento fa il nome del sottosegretario Raffaele Volpe come sostituto della Trenta.

Ciò che interessa a Salvini è incassare quanto più possibile. Oppure, in alternativa, spingere i 5Stelle a rompere come dimostra l'ultimatum lanciato a metà pomeriggio: «Da stasera, dopo il voto su Rousseau su Di Maio, se si lavora si va avanti. Se arrivano 4, 5, 6 no, la Lega non ha più tempo da perdere». La replica di Di Maio, riconfermato con l'80% di sì: il Movimento «ripartirà più forte». E i suoi chiosano: «Salvini alza la posta, provoca, per mascherare la botta ricevuta su Rixi».

I ROSPI DA INGOIARE
Di certo, c'è che la montagna che ha costruito in dodici ore Salvini appare impossibile da scalare per i grillini. C'è il condono fiscale e la pace fiscale, c'è lo stop al salva Roma e al codice degli appalti per due anni, c'è il sì alla Tav («l'80% dei piemontesi la vuole e la Ue si farà carico del 55% dei costi...») e l'accelerazione sulla flat tax («porterò il disegno di legge al prossimo Consiglio dei ministri»). Tutti temi contro cui, fino alle elezioni, i 5Stelle avevano alzato barricate. Senza contare che nel programma di Salvini c'è pure la riforma della giustizia con la rivisitazione del reato di abuso d'ufficio e la separazione della carriere tra pm e giudici. Eppure, il capo della Lega tutto vuole, tranne che apparire sleale. Così si lascia andare a una dele sue amate metafore calcistiche per rassicurare il premier: «Devo ammettere che invidio l'Inter che ha preso Conte. Io ho totale fiducia in Conte, qualunque Conte sia e qualunque lavoro faccia». Il premier però non si addolcisce.
 

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