Telethon, Montezemolo: «L'Italia investe ancora poco, così si trascura la ricerca»

Telethon, Montezemolo: «L'Italia investe ancora poco, così si trascura la ricerca»
di Giusy Franzese
Mercoledì 15 Dicembre 2021, 11:00
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È famoso ai più per essere stato presidente di Confidustria, della Fiat e della Ferrari, ideatore e fondatore dell'unico treno privato - Italo - che ha rotto il monopolio delle Ferrovie dello Stato sulla linea alta velocità, e presidente di Alitalia nell'era degli arabi di Etihad. Ma c'è anche un altro ruolo che Luca di Montezemolo ricopre da parecchi anni con orgoglio e passione: quello di presidente della Fondazione Telethon. In questi giorni sulle reti della Rai sta già andando in onda la classica maratona televisiva che ha come obiettivo quello di raccogliere fondi da donare alla ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare.

Presidente, lo scorso anno in piena emergenza Covid, la maratona televisiva Telethon è riuscita a raccogliere la cifra record di ben 46 milioni di euro. Quest'anno sta andando altrettanto bene. Gli italiani in realtà si sono sempre dimostrati molto generosi: secondo lei la tragedia del Covid è riuscita a sensibilizzarli ancora di più sull'importanza della ricerca?
«Sì, credo proprio di sì. L'anno scorso le persone aspettavano con ansia il vaccino contro il Covid. In tanti hanno capito che la ricerca era lo strumento per arrivarci. Donare a Telethon - quest'anno la sfida è arrivare a 50 milioni - significa avere la certezza di come verranno utilizzati tutti quei soldi e dove andranno. Credibilità, meritocrazia e trasparenza sono la nostra forza. Abbiamo due centri di ricerca eccellenti, quello di Pozzuoli, nell'ex fabbrica Olivetti e quello di Milano al San Raffaele. Una parte dei fondi serve a finanziare vari progetti esterni, la cui validità viene sempre valutata da commissioni di esperti internazionali». 

Ricerca ma anche cura, giusto?
«La mission di Telethon è infatti quella di arrivare alla cura per le malattie genetiche rare.

A volte così tanto rare che non hanno nemmeno un nome. Si tratta di patologie poco attrattive per le case farmaceutiche, proprio a causa della platea rarefatta di persone che ne soffrono. Per noi di Telethon, invece, ogni persona vale. E negli ultimi anni sono arrivate le prime due terapie che hanno dato origine a farmaci approvati. Ora andiamo avanti sulle altre».

Ha accennato ai vaccini. Nel frattempo i no-vax sono ancora tanti. È giusta la strada del super green pass o bisognava andare direttamente all'obbligo vaccinale?
«Credo sia stato fatto un tentativo giusto, l'ultima arma, prima di essere costretti a introdurre l'obbligo che comunque dovrebbe essere deciso a livello europeo».

Torniamo alla ricerca: si succedono governi e premier, ma alla fine la ricerca resta la cenerentola dei finanziamenti.
«In effetti, non senza amarezza, devo constatare che l'Italia investe solo l'1,4 per cento del Pil contro il 2,2 per cento della media europea. Io dico che un Paese che non spende nella ricerca non sta investendo nel proprio futuro. Però, credo che il Pnrr possa favorire la ricerca dal punto di vista della selettività dei progetti. Indirizzare i fondi meno a pioggia, rispetto a quanto si è fatto finora, sarebbe già un passo in avanti».

In realtà anche le parti sociali, quando vanno ai tavoli a Palazzo Chigi, sia Confindustria che i sindacati, fanno pressing su fisco e riduzione delle tasse, ma praticamente l'argomento ricerca non esiste. Come se lo spiega?
«Questo Paese è stato e continua ad essere prigioniero di due grandi malattie: il corporativismo, che nei fatti diventa va bene la concorrenza, purché non tocchi me; la grandissima difficoltà a ragionare su temi che non danno risultati immediati. E invece secondo me uno statista e un imprenditore illuminato, non guarda all'oggi, ma al domani se non al dopodomani. Concentrandosi sulle priorità fondamentali».

E quali sono, allora, secondo lei?
«Secondo me sono 4: salute, ambiente, scuola, lavoro. Dopo il Covid credo che nessuno abbia più dubbi sull'importanza di una sanità efficiente».

Di ambiente però ormai se ne parla, non crede?
«In realtà ho sentito un gran parlare a cavallo del vertice della COP 26, dopodiché c'è stato un silenzio di tomba su iniziative concrete».

Tipo?
«Bisognerebbe al più presto arrivare a un accordo su un limite massimo di Co2: chi va oltre deve pagare un prezzo e le risorse che ne derivano le destiniamo alla riduzione del costo del lavoro».

In tanti però temono che accelerare sulla transizione può portare a disastri sociali, con valanghe di posti di lavoro persi, e chiedono maggiore gradualità.
«Per iniziare ci vogliono delle regole e dei provvedimenti specifici. Altrimenti, questa benedetta transizione la facciamo soltanto nei convegni e invece è arrivato il momento di prendere decisioni, anche se ci saranno scontenti. Se permette vorrei però parlare anche dell'altra grande priorità, che secondo me è la scuola».

Prego
«Tra le tante cose che il Covid ha evidenziato c'è un divario sempre maggiore tra ricchi e poveri, non solo al Sud. Cosicché molti bambini, magari bravissimi, oggi non hanno gli strumenti ormai indispensabili per studiare, il Pc prima di tutti. Tutto ciò sta portando a un aumento del distacco scolastico. L'articolo 34 della Costituzione dice: I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Personalmente sto lavorando a un progetto con Save the Children e il Forum delle Disuguaglianze per alcune zone del Paese più a rischio. Ma serve anche l'intervento pubblico».

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