L'Aquila, il rilancio delle piccole imprese che ha ridotto le sacche di povertà

L'Aquila, il rilancio delle piccole imprese che ha ridotto le sacche di povertà
L'Aquila, il rilancio delle piccole imprese che ha ridotto le sacche di povertà
di Italo Carmignani
Martedì 2 Aprile 2019, 00:55 - Ultimo agg. 14:13
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Il paradosso ha il profilo di una cazzuola e la tempra del cemento. Nella notte di dieci anni fa, quando a L’Aquila la terrà si fermò appena qualche secondo, un millennio di costruzioni crollò come fosse di fango costringendo una città, la sua economia e la sua gente a mettersi in ginocchio. Qualcuno sorrise, animato dal cinismo della ricostruzione e degli affari. Disprezzo inutile: nel cantiere più grande d’Europa, che produce un volume di lavori vicino al miliardo l’anno, dieci anni dopo è proprio l’edilizia a soffrire, nonostante l’alto numero di addetti, degli appalti e un centro storico da rifare da capo. Adolfo Cicchetti, presidente dei costruttori, lo ripete come fosse un mantra: «È una vera e propria paralisi, c’è la certificazione che il sisma del 2009 è assolutamente fermo. Veniamo da due anni di rallentamento - prosegue - con mille occupati in meno nell’edilizia, questa situazione potrebbe raddoppiare se non triplicare questo trend».

LA RIPRESA A SINGHIOZZO
Nella città che ha pianto 309 morti e contato 1600 feriti, non è solo l’edilizia a disperarsi. Oltre settecento attività commerciali, con un giro d’affari annuo stimato tra 230 e 250 milioni di euro l’anno: fino a un secondo prima delle 3.32 del 6 aprile 2009 era questa la dimensione economica e sociale aquilana. Florida e sorridente. 
Oggi, dieci anni dopo, solo 86 coraggiosi hanno scommesso nuovamente su quelle vie e su quelle piazze restituite a uno splendore sfolgorante, ma ancora tristemente troppo vuote. Commercianti-pionieri che arrancano, sfibrati da entrate a singhiozzo e da un dilemma assillante: crederci ancora o mollare? L’impatto sull’economia del territorio è devastante. Mancano, 230-250 milioni di euro che solo in piccola parte (meno del 50%) si sono rilocalizzati nelle periferie. Un buco nero colmato in percentuali infinitesimali da nuove iniziative. Da qui sono “svaniti” anche gli 8-9 mila studenti fuori sede che avevano scelto il centro storico per vivere. 

IL CONTESTO
L’Ocse, nel rapporto post sisma datato 2012, aveva fissato un obiettivo: rendere le regioni più forti in seguito a un disastro naturale. Con un titolo eloquente: “Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila”. Oggi, quasi a metà del cammino, il traguardo sembra ancora distante. L’Aquila, stando ai principali indicatori, appare tutt’altro che più forte. La frammentazione economica e sociale è ancora tangibile. Latita una nuova prospettiva di sviluppo, si fatica a creare le condizioni per realizzare attività sociali ed economiche. Eppure ci sono alcuni dati che tratteggiano dinamiche post sisma del tutto particolari: nel 2007 L’Aquila aveva un Pil pro-capite inferiore in Abruzzo solo a Pescara. Nel 2009 c’è stata una certa flessione, ma dal 2010 è cominciata una crescita superiore a quella degli altri comuni capoluogo, arrivano nel 2016 a 22.800 euro annuali. C’è stata una riduzione della quota di contribuenti con redditi bassi e la sostanziale stabilità di quella con redditi medi. Sono cresciute più che altrove, invece, le fasce alte tra 75 e 120 mila euro.

LE DINAMICHE
Prima del terremoto il tessuto economico locale si sosteneva tre assi portanti: una importante componente pubblica (uffici e servizi), una consistente base manifatturiera che contava un quinto del totale degli occupati e una rete commerciale alimentata anche dalla cospicua popolazione studentesca fuori sede. Dieci anni dopo le cose sono cambiate: il manifatturiero si è ridotto di un terzo mentre il settore edilizio si è sviluppato arrivando ad assorbire il 18 per cento della forza lavoro. 
Gli effetti della ricostruzione si sono visti anche nello sviluppo di attività tecniche e professionali che oggi contano il dieci per cento dell’occupazione totale. Le imprese totali, nel comune, oggi sono 7.243. Con un saldo positivo nel 2018 tra nate (407) e cancellate (360). Tanto per fare un paragone, al 31 dicembre 2008 il numero complessivo era di 6.318, 925 in meno. Una ripresa traballante, stando ai dati sugli ammortizzatori sociali: nel 2018 sono state utilizzate due milioni di ore di cassa integrazione, contro le 1,3 del 2017. Le richieste di disoccupazione, nelle varie forme, sono passate dalle 5.061 del 2017 alle 7.125 del 2018. E la prospettiva guarda ancora lontano per vedere un’alba sincera.

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