Raggi, rivincita su M5S dopo il gelo: «Ora i fatti»

Raggi, rivincita su M5S dopo il gelo: «Ora i fatti»
di Simone Canettieri
Lunedì 12 Novembre 2018, 07:26 - Ultimo agg. 11:57
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Una domenica da copione, quella del day after della sentenza. «Tutta calcolata», dicono in Campidoglio. La difesa dei big in tv - prima il ministro Alfonso Bonafede poi il leader Luigi Di Maio - e i messaggi di sostegno che continuano ad arrivare: «Viginia, noi con te, a testa alta». Ma c'è un primo e dopo in questo week-end che ha segnato uno spartiacque per il M5S, per Roma e, appunto, per Virginia Raggi. Bisogna fare un passo indietro, a venerdì sera, la vigilia della sentenza. Per tutta la giornata hanno tenuto banco, in un panico generale, le dichiarazioni di Luigi Di Maio. Definitive: «Se condannata il nostro codice etico parlo chiaro, e lo conoscete tutti». Sembrerebbero frasi giuste ma anche di circostanza. In realtà sono state le uniche parole condivise dai vertici pentastellati con il Comune.

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SCAMBI DI IDEE
Invano, infatti, da Palazzo Senatorio hanno cercato i ministri e leader del Movimento per avere parole di conforto, semplici scambi di idee o se vogliamo di auguri. Bene, come raccontano adesso con un sorriso beffardo a Palazzo Senatorio, «quella sera non ci ha risposto al telefono nemmeno un cane». Squilli eterni e a vuoto. Un segnale chiaro che i giornali sintetizzano in gelo, ma che la dice lunga dei reali rapporti che ci sono tra il M5S e Virginia, tra la percezione del caso Roma e la voglia di stare alla larga da parte dei maggiorenti grillini dal Colle nobile dell'Urbe: «Erano tutti scomparsi».
E allora occorre immaginarsi la sindaca che con una Spada di Damocle sulla testa e dopo una giornata di udienza delicatissima - era il giorno dell'interrogatorio della sua grande accusatrice Carla Romana Rainieri - alle 21 di sera seduta nel suo ufficio chiede ai collaboratori più stretti: «Li avete sentiti? Che dicono?». Risposta imbarazzata: «Niente? Non rispondono».

La fotografia dello scollamento e di un certo «manicheismo» è questa. Anche perché sabato, dopo il verdetto del giudice, le telefonate, i tweet, i post su Facebook del M5S sono stati un fiume in piena. «Ah, chiamano tutti, adesso eh?», ha commentato in tarda serata Raggi in Campidoglio, leggera come una piuma dopo l'assoluzione. Da parte sua, racconta chi le sta vicina, non c'è né desiderio di vendetta né rabbia. Ma solo, appunto, la consapevolezza, per l'ennesima volta, delle regole d'ingaggio del suo partito (e della politica in generale). La sera sei da scansare, il giorno dopo diventi un'eroina. Adesso in Comune si aspettano che l'onda di vicinanza duri «una settimana, poi si parlerà d'altro».

SENSO DI SOLITUDINE
E Raggi si ritroverà, è questo il suo timore, da sola a dover far fronte a una miriade di problemi. Da parte del capo politico del M5S, Luigi Di Maio, ieri sono state spese parole non solo di affetto ma anche operative: adesso più fondi e più poteri per la Capitale. Ora i rapporti di forza dal punto di vista della comunicazione si sono ribaltati. E Raggi sfrutterà questo momento per battere il ferro finché caldo: «Ora voglio risposte chiare e veloci per la città, non possiamo più aspettare me lo chiedono i cittadini: servono fondi». Pensieri che torneranno ad affollarsi nella sua testa a partire da oggi. Ieri ha staccato per un po' con la famiglia, andando a pranzo in centro ma ha avuto modo anche di gioire per la vittoria del referendum su Atac. Da questa settimana si ricomincia e si riaprono i dossier. A Palazzo Senatorio aspettano atti tangibili. E telefoni pronti a rispondere.
 

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