Raggi, l'ira dopo il no di Zingaretti: «Non li cerco e non li temo»

Raggi, l'ira dopo il no di Zingaretti: «Non li cerco e non li temo»
Raggi, l'ira dopo il no di Zingaretti: «Non li cerco e non li temo»
di Simone Canettieri
Domenica 24 Maggio 2020, 10:28 - Ultimo agg. 15:33
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«Niente di personale contro i nostri alleati grillini al governo, ma chiederci di sostenere a Roma Raggi e come dire a loro di appoggiare in Campania De Luca: perché si scandalizzano?». Al Nazareno, quartier generale del Pd, provano a gettare acqua sul fuoco. A fare in modo che il caso Roma non mini la maggioranza giallorossa. Di sicuro, però, le parole di Nicola Zingaretti hanno colpito nel segno. 



Il segretario dei dem, e governatore del Lazio, ha fatto trapelare che l'ormai sempre più possibile ricandidatura di Raggi nella Capitale sarebbe «una minaccia per i romani». Un modo per fugare ogni dubbio su un possibile accordo Pd-M5S in vista delle comunali dell'anno prossimo. Un messaggio che Zingaretti ha voluto dare internamente e non solo: «Esiste il doppio turno alle comunali, noi correremo con il nostro candidato, non esiste alcun tipo di appoggio alla sindaca: la sua azione la consideriamo pessima, come dimostra la nostra opposizione in Aula Cesare», è il pensiero dei fedelissimi del segretario. Ma la replica dell'inquilina del Campidoglio è altrettanto netta: «Non vi temo e, soprattutto, non ho mai cercato il Pd». 



I vertici del M5S davanti a questo affondo preferiscono non commentare, per non alimentare appunto una contrapposizione che potrebbe impattare su Palazzo Chigi. Vito Crimi, capo politico dei grillini, è in imbarazzo. Evita la polemica, anche perché, in vista delle elezioni regionali, proverà comunque a trovare un accordo con il Nazareno, almeno per la Liguria, dove c'è da contrastare il governatore uscente Giovanni Toti. Tacciono anche i ministri che in questi giorni, da Alfonso Bonafede a Federico D'Incà, si sono spesi - a parole - per una ricandidatura di Raggi, in deroga alla regola sacra dei pentastellati.

In questo gioco di tattiche e convenienze, si tira fuori, dalla difesa d'ufficio a «Virginia», anche Alessandro Di Battista. Sull'ex parlamentare, pezzi del Movimento fanno circolare l'ipotesi di un suo interesse al Campidoglio così da bruciarlo dalla corsa per la leadership. 
 
 
 
Esce da questi tatticismi Barbara Lezzi, senatrice ed ex ministra del Conte I, che equipara Zingaretti a Salvini perché anche lui «si schiera dalla stessa parte degli odiatori seriali» e lo sfida sulla vicenda Autostrade: «Anche la Lega sulla revoca delle concessioni prendeva tempo come fa il Pd». È chiaro dunque come la vicenda romana possa diventare un detonatore. In Campidoglio il muro pro-Virginia è alto.

Il primo a erigerlo è Antonio De Santis, assessore al Personale e braccio destro di Raggi: «Ogni volta che il nome di Virginia si colloca al centro del dibattito - dice - parte un fuoco incrociato da tutti gli schieramenti politici per colpirla. Offendere, senza ragionare, è sin dal primo giorno la moda imperante. In fondo nelle alchimie delle segrete stanze andrebbe bene tutto, ma lei no. Chissà perché. Raggi riesce quindi a mettere sempre d'accordo tutti, all'insegna di un consociativismo dell'insulto. Una serie di affermazioni con la bava alla bocca, senza costrutto».
 

De Santis, per provare a portare la sindaca a sinistra, dice anche lui che il segretario del Pd si comporta come Salvini. Concetto ripetuto da Giuliano Pacetti, capogruppo M5S in Campidoglio. Sì, ma Raggi? Continua a non rompere gli indugi, rimane vaga sull'annuncio del bis. Nei prossimi giorni Luigi Di Maio, ministro degli Esteri ed ex capo politico, la incontrerà. «Le parole del segretario Pd? Non mi fanno paura», è il commento lapidario che le è sfuggito ieri mattina. Lo scontro tra i due non si è mai arrestato, nemmeno in emergenza Covid sugli orari di chiusura dei supermercati. Un rapporto complicato, tra il segretario-governatore e la prima cittadina, che ha avuto già momenti di crisi sulla gestione dei rifiuti. Ora però la faccenda diventa politica.
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