Aritmia cardiaca, trattamento innovativo nel Veronese: radioterapie per curare il cuore

Aritmia cardiaca, trattamento innovativo nel Veronese: radioterapie per curare il cuore
Aritmia cardiaca, trattamento innovativo nel Veronese: radioterapie per curare il cuore
Domenica 19 Luglio 2020, 18:54 - Ultimo agg. 18:59
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Una "tempesta del cuore", frequente e sempre più difficile da gestire, perché né il defibrillatore né i farmaci riescono a risolvere le gravi aritmie cardiache. Succede a circa 750 cardiopatici gravi in tutta Italia, mentre sono 15.000 i pazienti con aritmie che portano il defibrillatore e nel 4% di essi la tempesta si scatena anche decine di volte nell'arco di un mese, compromettendo la qualità di vita. La soluzione può arrivare da una radioterapia utilizzata abitualmente per la cura dei tumori, la STAR o radioterapia stereotassica ablativa: per nulla invasiva, elimina il "corto circuito" nel tessuto cardiaco dove nasce la tempesta aritmica riportando il cuore a una funzione normale. Si tratta di un trattamento innovativo che finora è stato impiegato in poche decine di pazienti in tutto il mondo.

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In Italia è l'IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) ad aver eseguito il maggior numero di interventi, tre, da marzo a oggi nonostante le difficoltà dovute alla pandemia di Covid-19. Il Don Calabria è anche l'unico istituto a utilizzare un metodo non invasivo per una diagnosi accurata, grazie a uno speciale corpetto indossabile dal paziente che consente di individuare con estrema precisione l'area da trattare con la radioterapia.

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Questa nuova tecnica «utilizza le radiazioni ionizzanti comunemente impiegate in oncologia per colpire la parte di tessuto cardiaco in cui c'è una trasmissione elettrica alterata, responsabile dell'innesco della tempesta aritmica - spiega Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata del Don Calabria -. Le radiazioni, attraverso un trattamento che dura soltanto alcuni minuti, vengono mirate con precisione millimetrica sulla zona dove nascono le aritmie, senza toccare le cellule sane adiacenti, e in modo non invasivo provocano la morte del tessuto alterato, creando una cicatrice omogenea che interrompe la conduzione elettrica anomala facendo tornare normale il battito cardiaco. La procedura non richiede il ricovero e impiega tecnologie elevate, anche per questo sono tuttora pochissimi i Centri che possono erogarla e l'IRCCS di Negrar è la struttura con la casistica maggiore nel nostro Paese».

«Abbiamo iniziato a utilizzare la STAR in piena pandemia, a marzo: la prima paziente aveva un defibrillatore che aveva registrato 104 tachicardie ventricolari, un 'superlavorò che ha portato a doverlo sostituire precocemente - spiega Giulio Molon, direttore della Cardiologia dell'IRCCS di Negrar -. Attualmente tutti i pazienti su cui siamo intervenuti stanno bene: si tratta di persone con tachicardie ventricolari causate da gravi cardiomiopatie dilatative, che prima dell'intervento avevano una qualità di vita molto compromessa e che in alcuni casi in un mese potevano arrivare a subire 20 shock del defibrillatore. In questi pazienti le linee guida prevedono di intervenire con l'ablazione transcatetere, ma la procedura è per loro ad alto rischio, perché hanno un quadro clinico compromesso da infarti pregressi e aritmie molto frequenti. Per questo riponiamo molte speranze nella STAR».

Il Negrar è anche l'unico centro a utilizzare in questo trattamento un metodo non invasivo per la fase diagnostica: per identificare nel modo più accurato il sito da trattare, si usa un innovativo sistema indossabile dallo stesso paziente. Dopo una TAC e dopo aver indotto la tachicardia ventricolare tramite defibrillatore, uno speciale corpetto totalmente coperto da elettrodi consente infatti un mappaggio tridimensionale completo del cuore: così si può individuare con precisione la sede da trattare. Il primo studio sulla STAR, condotto su cinque pazienti, è stato pubblicato nel 2017 sul New England Journal of Medicine. Tuttora restano da definire meglio risultati e possibili rischi , ma «anche se serviranno dati più robusti, la STAR ha aperto una nuova prospettiva che nel tempo potrà dare sempre maggiori risultati nella cura delle gravi cardiopatie», concludono Alongi e Molon.

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