Autonomia, il rapporto Gimbe: «Sanità, istanze eversive: pazienti attirati al Nord»

In 10 anni trasferiti 14 miliardi verso il Settentrione: «I divari aumenteranno»

Autonomia, il rapporto Gimbe: «Sanità, istanze eversive pazienti attirati al Nord»
Autonomia, il rapporto Gimbe: «Sanità, istanze eversive pazienti attirati al Nord»
di Andrea Bassi
Giovedì 2 Febbraio 2023, 22:33 - Ultimo agg. 25 Febbraio, 21:39
4 Minuti di Lettura

C’è un capitolo del progetto dell’autonomia differenziata chiesta dalle Regioni del Nord che ha fatto scattare un campanello d’allarme: la sanità. I rischi del passaggio di nuove competenze in materia di salute dallo Stato centrale alle Regioni sono elevatissimi. Un osservatore autorevole e solitamente prudente, come la fondazione Gimbe, punto di riferimento durante il Covid per le informazioni sulla pandemia, è arrivata a definire le istanze di Veneto e Lombardia «eversive». Le Regioni del Centro e del Sud Italia sarebbero condannate, se il progetto autonomista dovesse diventare realtà, a diventare «clienti» della sanità settentrionale. Si aggraverebbe quel “turismo” sanitario dal Sud e dal Centro verso il Nord che negli ultimi dieci anni, secondo quanto calcolato dalla Corte dei Conti, ha comportato un travaso di risorse dalle Regioni centro-meriodionali verso quelle settentrionali di ben 14 miliardi di euro. 

 

BOCCIATURA SENZA APPELLO

Il rapporto sul «Regionalismo differenziato in sanità» pubblicato ieri da Gimbe, è una bocciatura senza appello al progetto del governo.

L’analisi ha fatto una ricostruzione storica di come si è arrivati fino alla legge quadro approvata preliminarmente ieri dal consiglio dei ministri, e ha acceso un faro sulle reali intenzioni di Veneto, Lombardia (ma anche dell’Emilia Romagna, nonostante la correzione di rotta del governatore e candidato alla segreteria del Pd Stefano Bonaccini). Richieste pesantissime, come la possibilità di non dover sottostare ai vincoli statali di spesa in materia di personale della sanità, la possibilità di poter stipulare contratti a tempo determinato con i medici di “specializzazione lavoro”, l’autonomia rispetto alle tariffe, ai rimborsi, alla compartecipazione alla spesa sanitaria degli assistiti della Regione, alla possibilità di non dover sottostare alle regole dello Stato sulla governance delle aziende del sistema sanitario, persino alla possibilità di poter sottoporre all’Aifa, l’agenzia nazionale per i farmaci, proprie valutazioni sull’equivalenza terapeutica dei farmaci. Ma anche una maggiore autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione dei fondi sanitari integrativi. Ed è proprio questa richiesta, secondo il Gimbe, ad essere «eversiva». Questo perché «una maggiore autonomia in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi, darebbe il via a sistemi assicurativo mutualistici regionali totalmente sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale». Non solo. La richiesta del Veneto di «contrattazione integrativa regionale» per i dipendenti del Servizio sanitario nazionale, «rischia», dice il Gimbe, di concretizzare una concorrenza tra Regioni con trasferimento di personale dal Sud al Nord, ponendo peraltro una pietra tombale sulla contrattazione collettiva sindacale e sugli stessi sindacati». 

LE BORSE DI STUDIO

Non c’è solo questo. Regionalizzare il sistema tariffario e quello di rimborso, avere autonomia nella determinazione del numero di borse di studio per la scuola di specializzazione, abbandonare gli strumenti di “governance” nazionali, rischia aumentare «le diseguaglianze regionali proprio in un momento storico dove la riorganizzazione dei servizi sanitari legati alle risorse del Pnrr impone di ridurle». 
E cosa dire, invece, delle istanze che arrivano da Veneto e Lombardia di poter pagare il proprio personale sanitario (come del resto i professori) di più rispetto alle altre Regioni? Certo, spiega Gimbe. Pagare di più i dipendenti della sanità è uno strumento fondamentale per fronteggiare la grave carenza di personale, ma questi strumenti dovrebbero essere estesi a tutte le Regioni. Le conclusioni dello studio sono disarmanti. E preoccupanti. «L’attuazione delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni con le migliori performance sanitarie è inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un servizio sanitario nazionale oggi universalistico ed equo solo sulla carta». Gimbe, dunque, «invita il governo a mettere da parte posizioni sbrigative e, soprattutto, a non utilizzare il regionalismo differenziato come merce di scambio». La tutela della salute andrebbe dunque «esclusa» dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiore autonomia. O almeno, dice ancora Gimbe, trovare un modo per aumentare la capacità di indirizzo dello Stato centrale. «Quel che è certo», è l’amara conclusione, «è che il regionalismo differenziato non potrà mai ridurre le diseguaglianze, perché renderà le Regioni del Centro-Sud, che avranno sempre meno risorse per riqualificare i loro servizi, “clienti” dei servizi prodotti dalle Regioni del Nord». Con buona pace dell’eguaglianza dei cittadini in tutte le parti del territorio nazionale. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA