Cannabis, una legge figlia dell'ignoranza

di Luca Pani
Venerdì 20 Ottobre 2017, 10:36
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La montagna ha dunque partorito un topolino, ma dato che il travaglio è stato lungo e difficile non le è venuto tanto bene e questo dispiace. Era un topolino importante perché ci portava in dono finalmente - una legge sulle «Disposizioni concernenti la coltivazione e la somministrazione della cannabis ad uso medico». Forse sin dal titolo qualcuno avrebbe dovuto spiegare alle decine di deputati che si sono affaccendati a dire la loro, che la cannabis è una pianta che si coltiva e non si somministra per uso medico e che, invece, per uso medico si somministrano gli estratti della cannabis. Ma andiamo avanti. La legge è importante, anzi importantissima. Non v'è dubbio alcuno che gli estratti della cannabis abbiano fondamentali azioni mediche in pazienti resistenti a molti altri farmaci tradizionali, quindi esiste un «bisogno medico».

Sin dal primo Articolo (Finalità e oggetto della legge) si comprende che si tratta di una norma «volta a regolamentare l'uso dei medicinali di origine vegetale a base di cannabis e a promuovere la ricerca scientifica sui possibili ulteriori impieghi della cannabis a uso medico» poi, perché nessuno si dimentichi di cosa stiamo trattando, il comma successivo ricorda che la legge: «si applica ai medicinali di origine vegetale a base di cannabis in conformità a quanto previsto dalla Convenzione unica sugli stupefacenti». Pur con le imprecisioni iniziali, da fretta di fine legislatura, la cosa è ancora tollerabile. Ma subito dopo iniziano una serie di strafalcioni da pennarello rosso e bocciature sonore in psicofarmacologia e scienza regolatoria. Nella proposta di legge non si trova, ad esempio, nessun cenno alla precisa misurazione dei principi attivi contenuti nei derivati naturali della cannabis. Si dice che il medico deve indicare la dose prescritta ma non di cosa. Sarebbe come prescrivere un buon bicchiere di estratti dell'uva per «le innegabili azioni mediche dell'alcol» e poi mettere nella stessa categoria bevande al 4% di alcol (birre), al 12% (vino), al 18% (liquori), al 36% (distillati), al 52% (super-distillati), e soprattutto berne la stessa quantità ogni volta attendendosi lo stesso effetto. Dalla cannabis si possono estrarre circa 400 composti di cui oltre un centinaio sono «cannabinoidi», ma solo per quattro o cinque sappiamo qualcosa di scientificamente solido. È farmacologicamente impossibile per una qualunque forma di preparazione o per sigaretta che brucia il 10% di Delta-9 cannabinolo insieme al 5% di cannabidiolo produrre gli stessi effetti di una in cui le percentuali sono la metà, il doppio o addirittura l'opposto.

La legge doveva prevedere un controllo della cultivar per evitare delle significative differenze tra produzioni anche provenienti dalle stesse piantagioni perché soggette come è giusto che sia alle variabilità meteorologiche e del terreno; e doveva prevedere una misurazione precisa dei principali principi attivi contenuti. Scrivere (Art. 6, comma 1) che «lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze è autorizzato alla fabbricazione (sic!) di infiorescenze di cannabis in osservanza delle Good manufacturing practices (GMP)» non significa assolutamente niente e rischia di rivelarsi un problema produttivo per lo stesso Stabilimento. Infatti (ibid. comma 2) «l'Organismo statale per la cannabis (e cioè chi sarebbe??) può autorizzare l'importazione di quote di cannabis da conferire allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze». La domanda che sorge spontanea è se queste quote saranno sempre coltivate secondo le regole GMP o se si pensa di cavarsela con l'applicazione delle Good agricoltural and collecting practices (GACP) (ibid comma 3)? Questo non è specificato. La Coldiretti, che già annuncia 10.000 nuovi posti di lavoro, sa che le regole che si applicano ai pomodori e ai carciofi non si applicano comunque ai farmaci? Intendono seguire le procedure indicate dallo Stabilimento Militare di Firenze, ma poi chi darà la certificazione di prodotto? Lo stesso Stabilimento di Firenze? Ma non può farlo perché non è un ente regolatorio e di ente regolatorio noi ne abbiamo uno solo: l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che, in effetti, sembra essere il grande assente in questa legge.

L'AIFA dovrà occuparsi solo di campagne di informazione (Art. 7) e di promozione della ricerca sulla cannabis (Art. 9), mentre il monitoraggio delle prescrizioni (Art. 4) ,ovvero la farmacovigilanza è affidata all'Istituto Superiore di Sanità, che però, neppure lui, è un ente regolatorio. O stiamo forse ipotizzando in modo erroneamente pericoloso che, siccome sono estratti vegetali e quindi sono «naturali» in contrasto con la chimica da aborrire di Big Pharma, i principi attivi della cannabis non possano avere degli effetti collaterali? Non me la sentirei di escludere che le lobby ideologiche siano più potenti e avide di quella dell'industria farmaceutica. Eppure gli estratti vegetali sono, a tutti gli effetti, medicine. Ci sono oltre 120 farmaci veri e propri ricavati dalle piante in grado di curare (digitossina dalla Digitalis purpurea) oppure uccidere facilmente un essere umano (tubocurarina dal Chondodendron tomentosum). 

Gli estratti della Cannabis sativa sono tra questi medicinali e i pazienti che andranno trattati con questi principi attivi avrebbero meritato tutta la competenza, la precisione e la sorveglianza che vengono applicate giornalmente a tutto quello che i pazienti assumono per curarsi dalle malattie di cui sono affetti. E invece, nei suoi ultimi e superficiali giorni di legiferazione, la nostra montagna parlamentare si è definitivamente distaccata dalla conoscenza, dalla scienza e dalla tecnologia del Paese, lasciandosi scappare un topolino debole e febbrile che porterà molti più problemi di quelli, realmente urgenti, che avrebbe dovuto risolvere.
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