Coronavirus nei bambini, il pediatra Ravelli: «Forse non è Kawasaki ma una sindrome più grave»

Coronavirus nei bambini, il pediatra Ravelli: «Forse non è Kawasaki ma una sindrome più grave»
Coronavirus nei bambini, il pediatra Ravelli: «Forse non è Kawasaki ma una sindrome più grave»
Lunedì 25 Maggio 2020, 11:57 - Ultimo agg. 26 Maggio, 07:31
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Coronavirus nei bambini, che legame c’è con la malattia di Kawasaki che sta colpendo parecchi piccoli pazienti soprattutto in Gran Bretagna? Sulla questione si è espresso oggi il pediatra Angelo Ravelli, direttore della Clinica di Reumatologia dell’ospedale Gaslini di Genova. In un’intervista a Open, Ravelli ha spiegato che non è detto che la sindrome correlata al Covid sia davvero quella di Kawasaki. 

Il motivo? Alcuni sintomi e caratteristiche che sono diversi dalla Kawasaki. «I pazienti manifestano dolori addominali, vomito, interessamenti del miocardio che non sono sintomatologie tipiche della Kawasaki. Inoltre, in alcuni casi si sono riscontrati livelli di piastrine più bassi e cali dei linfociti che non corrispondono a quella sindrome», spiega il pediatra e professore.
 


Per Ravelli queste forme non solo sono diverse dalla Kawasaki, ma sono anche più gravi: «Sono state riscontrate nei bambini, in seguito all’infezione da coronavirus, sindromi da attivazioni macrofagica e sindromi di choc tossico». Complicanze possibili nella Kawasaki, ma «nei bambini osservati durante la pandemia sono molto più frequenti, soprattutto nei pazienti inglesi e statunitensi». In Italia invece la malattia «sembra avere caratteristiche più compatibili alla Kawasaki: da noi abbiamo avuto un quadro più ampio, nel mondo anglosassone ci si è interfacciati solo con i casi più gravi», aggiunge il pediatra.

I numeri sono molto diversi in Italia e all’estero: «Solo a New York ci sono stati 160 casi in pochissimo tempo», mentre in Italia «si contano una ventina di casi a Bergamo e 6 al Gaslini di Genova», e e potrebbero esserci stati in tutto «tra i 100 e i 150 casi totali». La sindrome non sembra comunque mortale: «Dall’inizio dell’epidemia, in Italia non è morto nessuno - continua Ravelli - a New York ci sono stati tre decessi, uno in Francia. Fortunatamente i pediatri italiani sono stati i primi al mondo a condividere e diffondere l’allerta».

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