Di certo si sa solo che in Italia i morti sono già 2.978 e che per ora il contagio a Sud è lento anche se inesorabile. L'andamento delle curve epidemiche mostra casi confermati in crescita a livello nazionale, i dati evidenziano nelle aree del centrosud una crescita, «ma non è così veloce», ha confermato il presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro.
Sicuramente non possiamo già cantare vittoria, perché non è assolutamente il caso, ma le misure di distanziamento sociale avviate nei giorni scorsi stanno contribuendo attivamente.
E molto stanno facendo i conteggi dei tamponi. Nella giornata di ieri in Campania sono stati fatti 416 tamponi e sono stati registrati 64 casi positivi, il numero totale a metà giornata era di 577 casi conclamati. La conta non si ferma, perché il nodo sta proprio nei numeri. Nelle Regioni meridionali si sta aspettando la grande ondata dei contagi provenienti da Nord, c'è stato un effetto di rialzo nei giorni scorsi in tutto il Sud, ma probabilmente erano tutti precedenti.
«In Campania c'è una crescita esponenziale, anche se partiamo ovviamente da numeri più bassi, e siamo a una situazione rapportabile a 18-20 giorni fa in Lombardia, ma il vantaggio è che siccome in questo momento sono state implementate, su tutto il territorio nazionale, misure molto più stringenti di contenimento del contagio rispetto a 20 giorni fa, la speranza è che la gente stia veramente a casa e la crescita così rallentare», così spiega il matematico Nicola Fusco. Che è lo stesso ragionamento che fanno gli epidemiologi. Il sud resiste, ma bisogna tenere.
Se facessimo i tamponi a tappeto avremmo numeri completamente diversi. Ora, nella martoriata Lombardia, a fronte di 48.983 tamponi effettuati, i positivi sono 17.713 e i morti 1.959; situazione diversa in Veneto dove in proporzione si stanno facendo molti più tamponi (anche agli asintomatici), fino a ieri 40.841, con 3.214 positivi e un totale finora di 94 decessi. «Da questi numeri si vede che in Veneto la percentuale di morti rientra nella statistica Oms di meno del 4%, mentre nelle regioni come Lombardia il numero dei tamponi è più basso. Questo ci fa pensare che ragionevolmente il numero dei casi in Lombardia è enormemente più alto di quanto accertato e questa variabilità va a falsare tutto il dato nazionale». Poi c'è un'altra indicazione che conferma il ragionamento, visto che mediamente i decessi avvengono in media 8 giorni dopo il ricovero, e dunque dalla certificazione del caso, le curve di crescita di mortalità e le curve di crescita dovrebbero coincidere ma essere sfalsate di 8 giorni: «E invece non è così: i 475 decessi di ieri sono stati diagnosticati mediamente 8 giorni fa, però se andiamo a vedere i numeri di allora, la crescita non è netta come quella che si è avuta per il numero dei morti degli ultimi giorni» conclude il professore.
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Un'ulteriore conferma del fatto che in molte regioni si stanno facendo pochi tamponi «e quindi le cifre del numero dei casi sono poco attendibili». Fino a ieri, prima dunque del balzo del numero dei morti, si poteva ragionare sui casi e dunque era possibile prevedere un picco in una decina di giorni, da oggi, alla luce di questo aumento improvviso dei decessi, il ragionamento cambia. «Siamo ancora con una crescita esponenziale del numero dei morti in cui non si vede nessun segnale di rallentamento e quindi oggi una previsione sul picco nazionale dell'epidemia non è possibile farla», ragiona Fusco. Dove sono allora i buchi neri del ragionamento? Uno, come detto, è rappresentato dai tamponi: più se ne fanno, più in valore assoluto si abbassa l'incidenza numerica dei morti, e inoltre, se si testano solo i sintomatici, si registrano molti più contagi rispetto alla popolazione generale. E allora, ragionando ancora non nel merito clinico, ma aritmetico, Fusco chiarisce: «La variabilità regionale del fattore tamponi non contribuisce a dare un quadro chiaro della situazione e dunque delle proiezioni. Non fare un numero sufficientemente alto di tamponi non ci permette di seguire a livello nazionale l'andamento dell'epidemia in maniera scientificamente valida. Allora per avere uno scenario attendibile è meglio fare una statistica dal numero dei morti».
Perché però il dato sui morti è così diverso in Germania dove l'incidenza è ben al di sotto dell'1%? «Perché è evidente che i tedeschi stanno contando solo i decessi su persone affette solo da coronavirus, che non hanno altre malattie. Così escludono i diabetici, i malati di tumore, i cronici di ogni genere e dunque la popolazione più vulnerabile che nella stragrande maggioranza è quella anziana. Loro contano molto probabilmente soltanto il sano che si ammala». C'è da chiedersi come mai l'Oms, le autorità sanitarie internazionali, non riescano a individuare una modalità unica per fare questi conteggi, contribuendo così a una reale conoscenza della malattia.