Coronavirus, il siero del giorno dopo per proteggere chi è stato a contatto con un positivo

Coronavirus, il siero del giorno dopo per proteggere chi è stato a contatto con un positivo
di Ettore Mautone
Sabato 20 Giugno 2020, 09:00 - Ultimo agg. 15:00
4 Minuti di Lettura

L'anti Covid-19 come l'antitetanica, ovvero l'anticorpo del giorno dopo. Il progetto si chiama «IperCovid» e parte da Napoli. L'obiettivo è fare del siero iperimmune, allestito con gli anticorpi dei guariti, non soltanto una carta in più da giocare nel percorso di cura dei malati critici ma anche un rimedio preventivo da somministrare a chi, per lavoro, venga a a contatto continuo con persone infette. Non basta pensare al personale medico e sanitario impiegato in prima linea nei reparti Covid. Uno scudo, insomma, che dura 28 giorni e che possono iniettarsi anche manager, politici, turisti, potenzialmente esposti al Coronavirus durante viaggi, meeting e contatti in luoghi ad alta prevalenza epidemiologica. L'obiettivo è vestire il plasma iperimmune, utilizzato finora in maniera sperimentale durante l'emergenza Covid, con l'abito del farmaco, purificato, sicuro e pronto all'uso in ospedale o in farmacia. Al progetto lavorano il Cotugno, la Federico II e l'Ateneo Vanvitelli con Biotecknet. «Puntiamo alla realizzazione di fiale con anticorpi anti Coronavirus altamente specifici e a dosaggio standard - spiega Giuseppe Matarese, immunologo della Federico II, tra i coordinatori del gruppo - da somministrare in caso di bisogno a pazienti infetti che progrediscono verso forme severe della malattia ovvero come copertura immunitaria passiva in soggetti ad alto rischio, costantemente a contatto con pazienti contagiosi ma anche come prevenzione in caso di viaggi e soggiorni all'estero, in aree endemiche».

LEGGI ANCHE Covid-19, prime cause collettive in Italia 

Lo studio clinico pilota è sviluppato in collaborazione con un'azienda farmaceutica italiana leader nel settore dei plasma-derivati che in questa fase presta gratuitamente la sua consulenza. L'obiettivo è lavorare a stretto contatto di gomito, ciascuno per le proprie competenze, per arrivare in breve tempo a produrre immunoglobuline iperimmuni come un farmaco e mettere all'angolo la Sars-CoV2 in attesa di dare scacco matto al Coronavirus con un vaccino vero e proprio. Un nuovo presidio di cura e prevenzione da usare nei pazienti fragili e in quelli critici oppure come prevenzione passiva per i soggetti che siano stati esposti al rischio d'infezione. Al lavoro ci sono il Dipartimento di Medicina molecolare e Biotecnologie mediche dell'Università di Napoli Federico II, il Dipartimento di Medicina di laboratorio e trasfusionale dello stesso Ateneo, il Dipartimento di Malattie infettive e Urgenze infettivologiche dei Colli (Ospedale Cotugno) e il Centro regionale di competenza in Biotecnologie industriali BioTekNet, che curerà il project management e il trasferimento tecnologico coinvolgendo, per le attività di ricerca, i laboratori di Medicina sperimentale della Vanvitelli.
 


Lo studio ha già incassato il semaforo verde dei Comitati etici dell'Azienda dei Colli e dei due Atenei e si avvale del coordinamento scientifico di Giuseppe Matarese, Antonio Leonardi (Federico II), Chiara Schiraldi (Vanvitelli) e di Roberto Parrella (Ospedale Cotugno). La gestione è invece di BioTekNet (con Amleto D'Agostino e l'ingegnere Concetta D'Orio). «In questa fase si stanno verificando i primi dati relativi all'efficacia, sicurezza e tollerabilità delle immunoglobuline iperimmuni utilizzate in pazienti affetti da infezione Sars-CoV2 in fase critica - spiega ancora Matarese - per il reperimento dei donatori sono coinvolti anche altri centri italiani. Le immunoglobuline iperimmuni - conclude il docente - consiste in una soluzione altamente purificata della frazione gamma-globulinica del plasma, contenente gli anticorpi sviluppati contro Sars-CoV2 dai soggetti recentemente guariti. Il serbatoio è ormai molto ampio con oltre 300 mila potenziali donatori. Questo tipo di preparazione è nota da tempo in varie patologie e viene utilizzata correntemente anche nella prevenzione dell'infezione tetanica o dell'epatite B (in soggetti che si sono punti con strumenti infetti nda). Può sia essere considerato un trattamento terapeutico per i pazienti che hanno già contratto il virus sia creare un effetto barriera in soggetti venuti di recente a contatto con pazienti positivi all'infezione sia, infine, prevenire, per un certo numero di giorni, l'infezione».

LEGGI ANCHE Covid-19, l'indice di contagio Rt cala quasi in tutta Italia 

Data la sua azione passiva, che non presuppone una risposta da parte del sistema immunitario del paziente, il trattamento potrebbe essere utilizzato anche nei casi di pazienti debilitati, anziani e immunodepressi.
Un vero e proprio rimedio disponibile e pronto all'uso, conservato nei frigoriferi delle farmacie e degli ospedali, come accade appunto per il siero antitetanico o antivipera. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA