Coronavirus, Vaia: «Servono tamponi mirati altrimenti si genera caos»

Coronavirus, Vaia: «Servono tamponi mirati altrimenti si genera caos»
di Gigi Di Fiore
Martedì 27 Ottobre 2020, 08:21 - Ultimo agg. 28 Ottobre, 08:15
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È in prima linea contro l'epidemia di coronavirus almeno da gennaio. Francesco Vaia è il direttore sanitario dell'Istituto nazionale per malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» di Roma.

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Direttore Vaia, c'è chi dice che non siamo alla situazione critica di marzo e chi contesta quest'affermazione. Chi ha ragione?
«Contestualizziamo il momento, in un Paese che si è sempre diviso e oggi lo è tra catastrofisti e negazionisti. Che non siamo alla situazione di marzo è sotto gli occhi di tutti, ma non possiamo neanche sostenere che va tutto bene chiudendo gli occhi».


E allora?
«Partiamo da un dato certo, che è il tasso di mortalità.

Oggi è allo 0,30 per cento che è sicuramente molto inferiore ai dati di questa primavera. Quella che viene chiamata seconda ondata ha avuto un'impennata nelle ultime due settimane, con un aumento di contagi successivo all'incremento in altri Paesi europei. È la velocità della trasmissione di contagi che ha portato alla curva in crescita».


In cosa è diversa questa fase?
«L'enorme percentuale di asintomatici, la maggioranza, e il basso tasso di mortalità. Io non sono mai stato favorevole alla chiusura totale, che provoca conseguenze psicologiche serie e impatta sull'economia e la vita sociale».

Qualcuno dice che il Dpcm del governo è insufficiente. Lei è d'accordo?
«Non spetta a me fare scelte politico-istituzionali. Ad agosto si era compreso che il rischio contagio arrivava dai ritorni dalle vacanze, da alcuni Paesi in particolare e dai più giovani. Siamo intervenuti nei controlli su chi utilizzava i mezzi di trasporto per gli spostamenti, come aerei, treni, navi. D'intesa con l'Alitalia, su mia proposta abbiamo avviato tracciamenti sui passeggeri. C'era una logica. La rincorsa al contatto e al tampone non mirati porta invece solo stress, senza risultati sul blocco dell'epidemia».


È quindi contrario ai tracciamenti continui dei contatti e dei contatti dei contatti?
«Sì, in questo modo si alimenta solo ansia. Inutile rincorrere una catena che non riusciremo mai ad interrompere. Più logico e sensato, stando attenti ai sintomatici, verificare i contatti diretti. Solo in caso di positività si procede ancora».


È quindi contrario alla politica dei tamponi generalizzati?
«Sì, il sistema sanitario non riuscirà mai a eseguirne così tanti, in tempi brevi. Il tampone va fatto con criteri mirati. Pensiamo agli effetti psicologici sui giovani, che si vedono privi di futuro e della speranza di poterlo progettare con una prospettiva certa. Io sono contrario alla didattica a distanza e a certe restrizioni. Se in famiglia mi limito a pranzare al massimo con quattro persone e poi uno dei quattro prende mezzi di trasporto pubblici affollatissimi, la mia attenzione familiare impatta con qualcosa che non riesco a controllare direttamente».
 

Quale dovrebbe essere la soluzione?
«Potenziare i trasporti, dando la possibilità ai privati di affiancarsi al pubblico. Vengo alla domanda di prima, a nulla serve giudicare se un Dpcm ha ristretto più o meno i contatti sociali. L'obiettivo di ogni provvedimento deve essere equilibrare la necessità di limitare i contagi con quella di non arrivare all'inedia totale e alla distruzione sociale delle attività. Un obiettivo di sintesi non semplice».


Quali sono le situazioni che vengono considerate più rischiose per i contagi?
«A maggio e giugno si ragionava sulla riapertura delle scuole e sull'incremento degli utenti nel trasporto pubblico, che aumentavano la mobilità e i contatti tra le persone. Per questo, la prudenza individuale, con le mascherine, il distanziamento, l'igiene delle mani, andrebbe accompagnata da un sistema generale di trasporti che eviti gli assembramenti, con un'offerta adeguata. Le raccomandazioni individuali vanno accompagnate dal sistema Paese che, come ha ribadito il capo dello Stato, deve fare squadra. E l'obiettivo è arrivare a un equilibrio delle due esigenze, quella sanitaria e quella socio-economica».

Lo ritiene possibile?
«Non sono mai stato favorevole alle decisioni drastiche, pensando anche ai giovani e ai più piccoli che non possono pensare a sacrifici che non siano temporanei e brevi. Bisogna invitare tutti alla calma, senza creare allarmismo, né terrore».


L'impressione è che ci sia stata ovunque difficoltà a seguire il tracciamento e l'incremento dei contagi. È così?
«Come dicevo prima, l'inseguimento sfrenato ai contatti a rischio crea solo stress sociale. Un inseguimento inutile, come se volessimo svuotare il mare con un secchiello. Inseguire gli asintomatici non serve, alimenta solo quella paura che fa arrivare al Pronto soccorso chi ha un semplice raffreddore o un mal di gola. Dobbiamo anche capire come gli effetti psicologici di tutto questo siano devastanti sui più fragili. Abbiamo molti più guariti di marzo, terapie più efficaci e note. E c'è un altro rischio».


Quale?
«Che nelle strutture sanitarie, dove si affolla gente spaventata che non avrebbe bisogno di cure ospedaliere, ci si distolga da altre patologie che hanno necessità di assistenza. Penso agli ictus, agli infarti, alle malattie oncologiche. Non è il tempo del panico e dello scoraggiamento, ma neanche della irresponsabilità. Per questo, come ha ribadito il presidente Mattarella, dobbiamo ripeterci tutti che il nemico è il virus e che tutti siamo chiamati ad affrontarlo».

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