Covid, i cardiologi: la seconda ondata è peggio della prima, come proteggere il cuore

Covid, i cardiologi: la seconda ondata è peggio della prima, come proteggere il cuore
Domenica 1 Novembre 2020, 21:12 - Ultimo agg. 21:40
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La seconda ondata del virus blocca la cardiologia e tiene sotto scacco il cuore degli italiani. Nella scorsa primavera la paura del contagio ha dimezzato i ricoveri per infarto e triplicato la mortalità.  Fino a qualche giorno fa i ricoveri ospedalieri di emergenza erano tornati a livelli di normalità ma la sospensione degli ambulatori cardiologici rischia di avere conseguenze ancora più drammatiche. Ne sono certi gli specialisti della Società italiana di cardiologia.

«Durante la prima ondata della pandemia, i ricoveri ospedalieri di emergenza per infarti e ictus si sono dimezzati per paura del contagio.

Molte persone sono morte a casa o sono sopravvissute con danni gravi al cuore e al cervello. Ricordiamo che gli eventi cardiovascolari gravi sono tempo-dipendenti – spiega Ciro Indolfi, Presidente della Società italiana di cardiologia e Ordinario di Cardiologia all'Università Magna Graecia di Catanzaro – Siamo stati i primi al mondo a dimostrare durante la pandemia la riduzione di oltre il 50% dei ricoveri cardiologici, accompagnata da un aumento di tre volte della mortalità ospedaliera. Eravamo appena tornati alla normalità in molte regioni ma, soprattutto al Sud, gli ambulatori cardiologici sono stati chiusi e i reparti di cardiologia svuotati. Perché è in aumento il numero del personale sanitario contagiato Covid e perchè, molti reparti cardiologici, sono stati convertiti a reparti Covid-19. Il rinvio di visite, controlli e ricoveri per interventi di angioplastica coronarica e di altre procedure elettive sommandosi ad arretrati difficili da smaltire, rischia già dal prossimo mese di portare ad un aumento della mortalità». 

Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte in Italia con più di 240.000 morti ogni anno. Una sanità bloccata dal virus rischia di annullare i progressi della terapia farmacologica e dell’interventistica e far ritornare la cardiologia ai risultati di 20 anni fa. «Se non si interviene rapidamente a potenziare i reparti di cardiologia, gli ambulatori e le rete dell’emergenza cardiologica, attraverso programmi di intervento condivisi con le autorità sanitarie locali, la prevenzione, la diagnosi e la terapia dell’infarto e delle altre patologie cardiovascolari diventeranno difficili, con conseguenze facilmente immaginabili – spiega Pasquale Perrone Filardi, ordinario di Cardiologia alla Federico II di Napoli – Bisogna inoltre richiamare l’attenzione dei pazienti a rischio sulla necessità di curare i fattori di rischio cardiovascolari come ipertensione, ipercolesterolemia, obesità, diabete. Per evitare che la polarizzazione dell’attenzione sull'epidemia distragga i pazienti con patologie croniche cardiovascolari dalle terapie di prevenzione». 

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