Covid, nuove cure per bloccare l'aggressività del virus

Covid, nuove cure per bloccare l'aggressività del virus
di Lorenzo Calò
Mercoledì 7 Aprile 2021, 11:00
5 Minuti di Lettura

Come è cambiato, a distanza di un anno, l'approccio terapeutico nei reparti Covid? Quali i protocolli perfezionati per l'assistenza dei pazienti? Quali le prospettive per i prossimi mesi? Ecco i quesiti su cui medici e ricercatori - compresi i camici bianchi in prima linea negli ospedali - si confrontano quotidianamente. In questo percorso ci accompagna il professor Nicola Coppola, ordinario di malattie infettive, direttore della divisione malattie infettive del policlinico universitario Vanvitelli di Napoli e del centro Covid istituito presso la medesima struttura. 

Video

Con il diffondersi delle mutazioni del virus sono cambiate anche le modalità terapeutiche?  

Oggi circa il 90 per cento dei pazienti Covid in ospedale presenta una carica virale riconducibile a varianti. Tuttavia l'approccio terapeutico non cambia. «Ma nell'ultimo anno - spiega il professor Coppola - abbiamo compreso ciò che non ci serve come soluzione terapeutica. Lo scorso anno, per esempio, alcuni pazienti venivano trattati con azitromicina e idrossiclorochina perché si ritenevano utili a bloccare l'ingresso del virus nelle cellule. Questo poi è stato smentito da studi successivi e oggi anche l'Aifa raccomanda di non utilizzare l'idrossiclorochina dal momento che non ne è stata confermata l'efficacia contro il covid».

Il cortisone è utile?

Di largo impiego lo scorso anno, oggi il cortisone viene utilizzato di norma nei casi gravi, mai nei primi giorni di trattamento ospedaliero del paziente.

Nel caso il malato abbia bisogno di supporto di ossigeno l'impiego del cortisone è raccomandato in quanto riduce l'infiammazione e aiuta a combattere l'insufficienza respiratoria. «In altre condizioni - avverte Coppola - potrebbe essere più dannoso che utile».

Quando usare gli antivirali?

«Lo scorso anno si è fatto un largo uso del remdesivir, un antivirale che oggi utilizziamo specialmente nella prima fase dell'infezione, al massimo entro i primi dieci giorni». L'obiettivo è quello di contrastare la replicazione virale che poi produce come ulteriore danno una forte risposta infiammatoria nell'organismo. L'utilizzo degli anti-virali era stato tra l'altro ampiamente sperimentato contro il virus Ebola e il Sars-Cov 1. Quanto al remdesivir l'Aifa ne raccomanda l'impiego esclusivamente in casi selezionati, dopo una accurata valutazione del rapporto benefici/rischi.

Quando e perché utilizzare l'eparina?

L'eparina è un anti-coagulante: l'utilizzo nei protocolli anti-Covid è sorto quando si è visto, specie dopo le autopsie dei pazienti deceduti, che uno degli effetti più frequenti dell'infezione è dato dalla presenza di fenomeni trombotici nei vasi polmonari. «Questo fenomeno è stato evidenziato anche in altri distretti - precisa Coppola - Oggi l'impiego di eparina avviene di norma nelle fasi successive dell'evoluzione clinica della malattia. Tuttavia gli studi tuttora in corso sono molto approfonditi e vertono principalmente sul dosaggio».

I farmaci biologici anti-infiammatori 

Nei mesi scorsi è stato ampiamente utilizzato, sebbene in fase ancora sperimentale, il tocilizumab, usato di norma per l'artrite reumatoide. Si è trattato di una terapia non diretta contro il virus in sé, ma contro una delle reazioni che l'organismo mette in atto come meccanismo di difesa nei confronti del virus, appunto la risposta infiammatoria. In altre parole, il farmaco inibisce in alcuni casi i livelli elevati di una particolare proteina, l'interleuchina 6 (IL-6), che svolge un ruolo fondamentale nel processo di modulazione del sistema immunitario. «Oggi tuttavia non è dimostrata con assoluta attendibilità l'efficacia di questi trattamenti - chiarisce Coppola - In ogni caso ci riferiamo alla seconda fase dell'infezione ma vanno valutati con attenzione i pro e i contro in base alla tollerabilità da parte dei pazienti».

Gli anticorpi monoclonali 

«Sono certamente l'arma più potente che abbiamo, se si eccettua l'aspetto della prevenzione mediante il vaccino - spiega il professor Coppola - La terapia a base di anticorpi monoclonali va somministrata in ambiente ospedaliero senza necessità di degenza e quando il paziente non necessita di supporto di ossigeno». La terapia prevede l'utilizzo di anticorpi monoclonali che si legano specificamente alle cellule bersaglio: questo può quindi stimolare il sistema immunitario del paziente. Si tratta di un procedimento terapeutico molto dispendioso dal punto di vista della sostenibilità economica ma altamente efficace. Per questo è raccomandato per soggetti particolarmente fragili (in particolare con obesità, insufficienza renale, diabete).

Il plasma iperimmune

«Se ne parla molto ma la completa efficacia non è stata ancora dimostrata con sufficiente attendibilità - riflette Coppola - Gli studi dimostrano una forte variabilità della risposta anticorpale da paziente a paziente». La terapia con plasma da soggetti convalescenti prevede il prelievo da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione a pazienti affetti da Covid-19. Prima della somministrazione il plasma iperimmune viene sottoposto a una serie di test di laboratorio, anche per quantificare i livelli di anticorpi neutralizzanti (il cosiddetto titolo), e a procedure volte a garantirne il più elevato livello di sicurezza per il ricevente. La trasfusione è utilizzata per trasferire questi anticorpi anti-Sars-CoV-2, sviluppati dai pazienti guariti, a quelli con infezione in atto che non ne abbiano prodotti di propri.

Sono utili gli antibiotici?

La risposta è no. «In media soltanto l'8-10 per cento dei pazienti affetti da Covid presenta poi complicanze di tipo batterico». Assolutamente da evitare l'uso fai-da-te di antibiotici anche nei trattamenti domestici.

Avremo nuovi farmaci? E se sì, quando?

«Sono in corso importanti studi in particolare sugli inibitori dei mercatori di infezione - dice Coppola - Presso il nostro centro stiamo conducendo una ricerca in questo senso». Gli studi riguardano alcune molecole - le interleukine 6 e 8 - e la combinazione con anti-coagulanti. Il vero problema è stabilire i dosaggi e i livelli di tollerabilità. «I nostri trial clinici ci portano come orizzonte temporale a dopo l'estate - spiega Coppola - se non ci saranno intoppi potremmo ipotizzare l'utilizzo di soluzioni terapeutiche innovative entro fine anno».

Vaccini: AstraZeneca è sicuro? 

«Nessun dubbio sulla efficacia del vaccino Astrazeneca contro il Covid - conclude Coppola - Ci sono verifiche in corso da parte delle autorità regolatorie, Ema, poi Aifa, su alcuni possibili effetti collaterali gravi in alcune fasce della popolazione. Si stanno eseguendo accurate verifiche. Dobbiamo restare sereni perché certamente saranno adottate tutte le precauzioni necessarie a tutela della salute». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA