Covid e scuole, l'allarme di Guerra: «Riaprire è un rischio, al ritorno in classe corrisponde un'impennata di contagi»

Covid e scuole, l'allarme di Guerra: «Riaprire è un rischio, al ritorno in classe corrisponde un'impennata di contagi»
di Emilio Fabio Torsello
Domenica 4 Aprile 2021, 12:00
6 Minuti di Lettura

Il ritmo della vaccinazione a livello internazionale, la situazione italiana, il rischio nella riapertura delle scuole e l'ipotesi di un lockdown totale. Il professor Ranieri Guerra, direttore vicario dell'Organizzazione Mondiale della Sanità fa il punto sull'attuale situazione pandemica. 

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Professor Guerra, qual è lo scenario internazionale sul fronte della distribuzione dei vaccini?
«Lo scenario è articolato e presenta notevoli disparità. Ci sono 620milioni di dosi distribuite a livello globale: 260milioni solo tra Stati Uniti, Regno Unito e Europa. In termini percentuali, l'85% dei vaccini distribuiti finora è nei Paesi con una economia sviluppata, mentre appena lo 0,1% nei Paesi in via di sviluppo. Si va dagli Stati Uniti dove il 30% delle persone ha ricevuto almeno una dose di vaccino, al 17% nei Paesi dell'Unione Europea e si scende al 9% in Sud America, al 6% in Asia e allo 0,8% in Africa - che per noi è il vicino di casa. La cosiddetta democrazia vaccinale è tenuta in piedi dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dal Covax (il programma internazionale che ha come obiettivo l'accesso equo ai vaccini anti COVID-19, ndr) che sta distribuendo qualche milione di dosi in Paesi cosiddetti difficili. L'ultima spedizione è stata in Yemen».

In Italia ci sono ritardi nelle vaccinazioni?
«Se si guarda ai dati dell'Unione Europea, il ritmo di vaccinazione italiano è abbastanza coerente con quello degli altri Paesi: siamo al 17% delle dosi distribuite.

Serbia e Ungheria invece sono quasi al doppio della copertura perché hanno scelto di approvvigionarsi anche con il vaccino russo Sputnik senza attendere il processo regolatorio».

Ci sono ragioni politiche dietro la mancata approvazione di Sputnik?
«Assolutamente no. Sulla prequalifica di Sputnik l'OMS sta andando avanti con i dati forniti dai colleghi russi. Il processo regolatorio europeo è indipendente da qualsiasi influenza politica: ci si basa su dati ed evidenze che devono essere chiare e rispondenti agli standard minimi dell'Agenzia Europea del Farmaco. Sta di fatto che si tratta di un vaccino che sul lato empirico sembra funzionare per cui non vorrei che poi, in questo sbilanciamento burocratico, fossimo legati esclusivamente al rispetto delle buone procedure, senza tener conto del dato empirico che si sta accumulando. Ma bisogna essere rigorosi per evitare un altro caso AstraZeneca, con tutte le conseguenti teorie del complotto che sono derivate nell'opinione pubblica».

Alcuni Paesi però hanno sospeso il vaccino AstraZeneca.
«Lo hanno sospeso salvo poi usarlo per gli ultraottantenni e per gli ultra sessantacinquenni. In queste situazioni mi sentirei di raccomandare di seguire l'Ente regolatorio europeo che determina una raccomandazione con assoluta approssimazione alla certezza e sulla base dei dati disponibili. In questo senso l'indicazione non è mai stata sospendete ma è stata una raccomandazione che valutava i benefici rispetto ai rischi. In ogni cosa risiede un minimo rischio ma il vantaggio determinato dai vaccini è talmente superiore che restano pochi dubbi. E in questo senso Israele è il caso e lo studio più significativo».

Torniamo all'Italia: a fronte di continui cambi di colore delle regioni, c'è chi invoca un lockdown totale.
«Il sistema a colori delle Regioni credo sia un tentativo di venire incontro alle esigenze di libertà e mobilità dei cittadini, a fronte del necessario contenimento del virus. Una chiusura radicale di tre settimane o un mese potrebbe essere l'unica cosa che abbatterebbe in maniera evidente la circolazione del virus. Se attuare o meno un lockodown totale è però una valutazione politica. Noi stiamo completando uno studio su una ventina di Paesi e l'unico elemento che è correlato in maniera causale con il numero di casi, di decessi e di ricoveri è proprio la tempestività delle chiusure».

C'è poi la questione delle scuole: è davvero sicuro riaprirle?
«Le scuole sono pericolose nel momento in cui non si riesce a controllare tutta la filiera che porta gli studenti dentro una classe. La realtà dei fatti a fronte di una teoria che dice che le scuole possono essere messe in sicurezza con certi metodi vede un'impennata della curva dei contagi ad ogni riapertura degli istituti».

Sul piano internazionale spesso si cita a modello nel trend di vaccinazione la Gran Bretagna.
«L'Inghilterra è stata molto pragmatica anche se magari non è stata perfetta dal punto di vista regolatorio: si sono presi dei rischi ma hanno avuto molta ragione. Qui infatti la singola dose di vaccino è stata allargata il più possibile: si è garantita una più vasta immunità nella popolazione anche se relativamente meno efficace rispetto alla piena dose. Quando abbiamo un numero di dosi inferiore al fabbisogno, credo sia necessario essere molto pragmatici e fare il meglio possibile con quello che abbiamo a disposizione».

Tra i Paesi meno virtuosi, invece, c'è il Brasile. Si rischia un focolaio mondiale?
«Il Brasile è già un focolaio mondiale e da qui è partita una delle varianti. La situazione è molto drammatica e i colleghi brasiliani sono veramente terrorizzati, nonostante il Brasile abbia un sistema sanitario molto avanzato, con medici competenti e di grandissima capacità. Ma ci si scontra sia con le dimensioni del Paese sia con il tema centrale delle disuguaglianze tra aree metropolitane e aree rurali, difficili da raggiungere. E anche la politica nazionale in questo momento non aiuta».

Quali sono i passaggi più critici per la vaccinazione nei Paesi in via di Sviluppo?
«La conservazione dei vaccini è il punto fondamentale. Il Covax, per quanto sia efficace, nei vari Paesi in cui opera prevede la consegna in aeroporto. In questo senso abbiamo visto quanto la catena di conservazione sia di complessa attuazione in Occidente, immaginiamoci le difficoltà in Paesi dove le strutture non sono altrettanto avanzate. C'è poi la distribuzione che deve avvenire in tempi ragionevoli».

Lo sforzo deve quindi essere corale.
«Esatto. In quest'ultimo periodo ho avuto diversi contatti con il Vaticano per capire se nei Paesi dove la Chiesa ha ospedali e strutture, queste possano essere di supporto a quei governi meno organizzati, proprio nella distribuzione dei vaccini. Una collaborazione che andrebbe ampliata ad altre istituzioni religiose a livello internazionale. Mai come adesso non bisogna mettere in campo opposizioni tra sistemi pubblici e privati. Bisogna capire che non si protegge nessuno se non sono protetti tutti. Quindi la solidarietà internazionale in questo caso non è una parola vuota, è una parola di convenienza per tutti. È necessario supportare il meccanismo Covax e attivare tutte quelle che sono le leve locali dove esiste una cooperazione». 

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