Covid, il professor Remuzzi: «Sì a meno restrizioni per chi è immunizzato»

Covid, il professor Remuzzi: «Sì a meno restrizioni per chi è immunizzato»
di Gigi Di Fiore
Domenica 10 Ottobre 2021, 09:02 - Ultimo agg. 11 Ottobre, 13:55
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Il professore Giuseppe Remuzzi è docente di Nefrologia a Milano e direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri».

Professore Remuzzi, siamo davvero, come annuncia il premier Mario Draghi, a un passo dalla fine della pandemia in Italia?
«Diciamo che possiamo guardare con maggiore speranza l'immediato futuro. Il virus è ancora tra noi, ma la vaccinazione di gran parte della popolazione ci spinge a fare previsioni ottimistiche».

Quale percentuale di vaccinati bisogna raggiungere, per sentirci al sicuro?
«L'obiettivo potrebbe essere quello di arrivare al 90 per cento di vaccinati. Il 100 per cento è traguardo impossibile, perché c'è sempre una quota di persone irraggiungibili, quelli che comunque non si convincono, ed è anche importante vaccinare i migranti al loro arrivo in Italia».

La terza dose di vaccino è necessaria?
«È molto probabile lo sia, se si considera l'esperienza di altri Paesi come Israele. La terza dose tutela certamente la popolazione con patologie a rischio, i più anziani, una larga fetta di persone che, dopo sei-otto mesi, vedono affievolirsi la risposta anticorpale rispetto alla famosa proteina spike.

Non sembra che si perda l'immunità cellulare, né la difesa dalle forme più gravi della malattia, ma si affievolisce la difesa dal contagio».

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Sulla terza dose, l'Italia segue l'esperienza positiva di altri Paesi?
«Sì, primo fra tutti Israele dove si è sperimentata la terza dose su un milione di persone. Da quell'esperienza si ricava che, dopo la terza dose, gli anticorpi sono 19 volte di più. Ecco perché si vaccineranno con la terza dose le persone che abbiano più di 60 anni, indipendentemente da altre patologie. È anche possibile che ogni anno si debba fare un richiamo».

È consigliabile per gli over 60 associare alla terza dose anche il vaccino anti-influenzale?
«Sì, la copertura aumenta e i rischi diminuiscono».

Possono solo i vaccini sugli anziani farci stare più tranquilli?
«No, non possiamo ritenerci davvero tranquilli, finché non avremo esteso la vaccinazione ai giovani e, quando sarà autorizzata dalle autorità regolatorie, anche ai bambini. Negli Stati Uniti, in questo momento, uno su quattro dei contagiati sono bambini. È vero che i bambini raramente si ammalano e quasi mai in forma di malattia grave, però quando la circolazione del virus è alta come in Brasile i bambini possono anche morire. Proprio in Brasile ne sono morti già 900».

Quindi vanno vaccinati anche i bambini?
«Penso di sì, la pandemia si sconfigge quando si riescono a vaccinare tutti i soggetti che si riesce. Per i bambini si stanno sperimentando vaccini in un'unica dose anche dai 5 anni in su, che saranno autorizzati almeno negli Stati Uniti entro il 2021 e in Europa verosimilmente poco dopo».

Si sono fatti passi in avanti anche nelle cure domiciliari?
«Certamente, si sono fatti progressi che comprendono farmaci antivirali che bloccano la replicazione del virus, come il Molnupiravir prodotto dalla Merck, che lo ha sperimentato con efficacia negli Stati Uniti ed è risultato sicuro ed efficace. In Italia sarà probabilmente coperto dal rimborso del Servizio sanitario nazionale. Anche Pfizer sta sviluppando farmaci antivirali e poi ci sono immunomodulatori anti infiammatori e anti trombotici».

Possiamo avviarci con serenità al superamento delle restrizioni?
«Se siamo vaccinati sì. Chi non è vaccinato deve continuare a seguire le restrizioni, perché potrebbe essere un soggetto super diffusore e, in un luogo chiuso, infettare contemporaneamente molte persone».

Quale deve essere il nuovo traguardo contro la pandemia?
«Non potremo dire di essere fuori dalla pandemia, finché non sarà vaccinata gran parte della popolazione mondiale. Non è un problema di disponibilità di vaccini, è soprattutto un problema di costi e di logistica. In India sono già disponibili tre miliardi di vaccini, altri tre miliardi negli Stati Uniti tra Pfizer e Moderna e questo solo quest'anno. Il prossimo anno i vaccini disponibili saranno molti di più. L'Europa dovrebbe incentivare una forte collaborazione tra governi e case farmaceutiche, per mettere i Paesi più poveri in condizione di vaccinare la loro popolazione a costi ragionevoli».

Anche le case farmaceutiche?
«Sì, con questi vaccini hanno fatto un lavoro eccezionale, con un ritorno economico molto grande. A questo punto dovrebbero mettere a disposizione a prezzo di costo i vaccini per i Paesi più poveri e dare a chi è in condizione di farlo la licenza per produrli. Su questo obiettivo è auspicabile si impegnino l'Organizzazione mondiale della sanità come l'Onu».

In caso contrario, si rischia di ritrovarsi con il riacutizzarsi della pandemia?
«Il rischio c'è. Per ora, i vaccini rispondono a tutte le varianti, compresa la Delta. Ma non diamo troppo tempo al virus di riorganizzarsi e trovare contromosse. Un'eventualità possibile, se si lasciano scoperti dai vaccini Paesi emergenti e meno fortunati. Maggiore è la copertura della popolazione mondiale, più ci avvicineremo al momento in cui la pandemia farà meno paura».

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