Un biomarcatore, che rileva il danno al cuore nel caso di infarto, può aiutare a individuare i malati di Covid ricoverati in ospedale a maggior rischio di mortalità. Si è visto infatti che se i livelli nel sangue di troponina T - questo il suo nome -, rimangono molto alti dopo tre giorni dal ricovero, c'è una maggiore mortalità, in particolare nei pazienti più gravi. La scoperta si deve a uno studio condotto da Enrico Ammirati, del Cardio Center dell'Ospedale Niguarda di Milano, supportato dalla Fondazione De Gasperis, e l'ospedale Tongji di Wuhan, in Cina.
Lo studio è stato condotto su un campione di 2068 pazienti ricoverati all'ospedale Tongji tra febbraio e marzo, con un'età media di 63 anni. Di questi, il 23% è stato ricoverato in gravi condizioni e ha avuto bisogno di cure in terapia intensiva. All'arrivo in ospedale, il 30% aveva livelli più alti di troponina T. Si è visto che il 77% dei pazienti, che non ha avuto bisogno di terapia intensiva durante il ricovero, all'ingresso in ospedale aveva un livello di troponina T basso.
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Dall'inizio dei sintomi da Covid e il ricovero sono trascorse circa 2 settimane nella maggior parte dei pazienti studiati. «La troponina T non è quindi un test utile da eseguire subito dopo un contatto con un caso positivo - conclude - ma ha senso eseguirlo nei pazienti che sviluppano la polmonite. Potrebbe costituire uno dei fattori da considerare per decidere se ricoverare un paziente oppure no».
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