Le società scientifiche: «Campagna di informazione per il ritorno alle cure»

Le società scientifiche: «Campagna di informazione per il ritorno alle cure»
Mercoledì 15 Settembre 2021, 15:23 - Ultimo agg. 18:20
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Ridefinizione del sistema sanitario nazionale, modernizzazione degli ospedali, rifondazione della medicina territoriale, netta separazione fra ospedali, ambiti di cura e assistenza per pazienti Covid e non Covid, programmi avanzati e strutturati di telemedicina e riavvio degli screening anti-cancro su tutto il territorio. Non solo. Anche campagne di informazione per tranquillizzare i cittadini sulla sicurezza degli ospedali per il ritorno alle cure durante e nel periodo successivo alla pandemia.

Sono le principali proposte concrete d’intervento del “Forum permanente sul sistema sanitario nazionale nel post Covid” promosso da diverse società scientifiche e costituito da Giordano Beretta (presidente Associazione Italiana di Oncologia Medica, Aiom), Ivan Cavicchi (docente di Sociologia dell’Organizzazione Sanitaria e di Filosofia della Medicina), Francesco Cognetti (coordinatore del Forum e presidente Fondazione Insieme contro il Cancro), Paolo Corradini (presidente Società Italiana di Ematologia, Sie), Roberto Gerli (presidente Società Italiana di Reumatologia, Sir), Ciro Indolfi (presidente Società Italiana di Cardiologia, Sic), Dario Manfellotto (presidente Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, Fadoi), Pierluigi Marini (presidente Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani, Acoi), Vincenzo Mirone (past president Società Italiana di Urologia, SIU), Giovanni Muriana (presidente Società Italiana di Chirurgia Toracica, Sict), Fabrizio Pane (professore Ordinario di Ematologia, Università Federico II di Napoli), Flavia Petrini (presidente Società Italiana Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, Siaarti), Francesco Romeo (presidente Il cuore Siamo Noi - Fondazione Italiana Cuore e Circolazione), Gioacchino Tedeschi (presidente Società Italiana di Neurologia, Sin) e Alessandro Vergallo (presidente Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica, Aaroi – Emac).

Il primo incontro del Forum, che si è svolto recentemente con la partecipazione di Domenico Mantoan (direttore generale Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), ha condotto alla stesura di un documento programmatico. 

«Bastano alcuni numeri per comprendere la portata delle prestazioni ancora da recuperare a causa della pandemia – affermano le società scientifiche nel documento -. Nel 2020 sono stati oltre 1,3 milioni i ricoveri in meno rispetto al 2019, sono saltati anche quelli urgenti (-554.123). I ricoveri di chirurgia oncologica hanno visto una contrazione vistosa ed una diminuzione di circa l’80% dell’attività elettiva. Ridotti del 15% i ricoveri per radioterapia e del 10% quelli per chemioterapia». Nell’ambito cardiovascolare il calo è stato di circa il 20% (impianti di defibrillatori, pacemaker ed interventi cardiochirurgici rilevanti). Si stima che i ricoveri in area medica (in gran parte riconvertita e dedicata ai ricoveri dei pazienti COVID) per i pazienti cronici complessi e con riacutizzazione, si siano ridotti di circa 600.000 rispetto al 2019. 

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«Siamo molto preoccupati per l’elevatissima mortalità per Covid registrata nel nostro Paese, la seconda in Europa e nelle primissime posizioni a livello mondiale – continuano le società scientifiche -. È molto elevata anche la mortalità per patologie non Covid, già registrata a carico delle malattie cardiovascolari tempo-dipendenti e destinata nei prossimi mesi e anni ad aumentare significativamente anche per le malattie oncologiche. La ristrutturazione del sistema sanitario deve partire dagli ospedali. In Italia, il numero complessivo di posti letto ordinari per 100 mila abitanti è molto più basso rispetto alla media europea (314 rispetto a 500) e ci colloca al 22esimo posto tra tutti i Paesi europei. Gli operatori sanitari sono inadeguati per la popolazione del nostro Paese: i medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. Anche per le spese sanitarie correnti l’Italia è negli ultimi posti in Europa. Il nostro Paese spende solo l’8,8% del suo PIL per la Sanità, che peraltro include 1,5-2% di contribuzione da parte dei privati cittadini, mentre Paesi come Francia e Germania superano l’11%. Vi è inoltre una vera e propria ‘Questione Meridionale’: gli ospedali del Sud sono i più malandati e rischiano di non poter fornire servizi adeguati ai pazienti. Il Recovery Plan prevede di riservare solo l’8,3% dei fondi alla sanità (18,5 miliardi su 222): 7 miliardi sono per il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale, 8,6 miliardi (3,9%) per l’aggiornamento tecnologico degli ospedali e la ricerca scientifica. Ma questo non basta. Si pone l’assoluta necessità di ridisegnare il Sistema Sanitario Nazionale anche sulla base delle carenze emerse durante la pandemia ed utilizzando i fondi cospicui, anche se insufficienti, che arriveranno con il Recovery Fund. Una norma, il Decreto Ministeriale 70 – spiegano le società scientifiche nel documento -, prevede per gli ospedali la conferma della logica di Hub e Spoke chiudendo i piccoli ospedali, sostituiti da nuove strutture del territorio, gli ospedali della comunità, gestiti prevalentemente da infermieri e parzialmente da medici, per assorbire le piccole patologie. Ma su questo tipo di provvedimenti la comunità medico-scientifica ha già dichiarato la sua contrarietà». Anche nel Recovery Plan, gli ospedali sono considerati come del tutto ancillari rispetto al territorio. «Siamo di fronte a una grave sottovalutazione dei problemi legati all’ospedale – continuano le società scientifiche -. Anche gli investimenti strutturali e tecnologici previsti non tengono conto della complessità e importanza degli ospedali. Chiediamo al Governo di riconsiderare la questione dell’ospedale valutandone i problemi strutturali, organizzativi e funzionali. In buona sostanza, siamo contrari alla concezione di ospedale minimo ‘di prossimità’ e, tantomeno, alla sua gestione delegata agli infermieri. L’ospedale di comunità rappresenta una concezione obsoleta, eccessivamente semplificante ma, soprattutto, inadeguata a far fronte alle tante e diverse complessità poste in essere dalle domande di salute della medicina moderna. L’ospedale moderno per definizione è una realtà ad alta complessità, che non si governa in modo monocratico ma partecipato, diffuso e decentrato. È necessaria una modernizzazione dei nosocomi italiani, la cui vita media in moltissimi casi ha ben superato ogni limite plausibile, rendendoli spesso inadeguati anche solo ad ospitare le nuove tecnologie. Ed è necessario avviare un’attività straordinaria di informazione e comunicazione rivolta ai cittadini, un vero e proprio ‘Piano Marshall’ per il recupero dei ritardi accumulati negli screening, nelle visite programmate, in quelle di follow-up e negli interventi chirurgici».

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