Covid-19: l'infezione causata da Sars-Cov-2 non ha ancora protocolli di cura univoci e standardizzati. Molti lavori scientifici pubblicati hanno bisogno di ulteriori approfondimenti e revisioni per diventare consolidata letteratura mentre esistono linee guida, raccomandazioni dettate dall'Aifa e dal ministero della Salute ma anche tante singole esperienze empiriche che fanno scuola rispetto agli esiti e all'efficacia misurata sul campo.
La gestione clinica dei pazienti con Covid-19 ha subito un'evoluzione nel corso dei mesi, grazie alle maggiori conoscenze sul virus, sui sintomi e sull'efficacia delle diverse terapie ma ad oggi tuttavia, non esiste una terapia specifica e il trattamento si basa sui sintomi del paziente e sul quadro clinico complessivo. La vera novità emersa nei primi mesi del 2021 sono stati gli anticorpi monoclonali, che hanno sostituito il plasma dei guariti, e sono autorizzati per la somministrazione secondo precise indicazioni di rischio e linee guida che prevedono un arruolamento da parte della medicina e pediatria di famiglia, solo in presenza di fattori di rischio (obesità, diabete ecc.) entro i primi dieci giorni dalla diagnosi e prima della ospedalizzazione. I risultati sono ottimi. Per il resto si punta soprattutto sulla perfetta conoscenza dei tempi della malattia e delle sue espressioni.
Per farci guidare in questo percorso abbiamo scelto tre clinici: Gennaro d'Amato, pneumologo, già primario del Cardarelli, libero professionista che ha seguito durante le fasi acute della pandemia 182 casi a domicilio ricorrendo solo in 4 di essi alla ospedalizzazione. E due rianimatori: Fiorentino Fraganza, primario al Cotugno e Giuseppe Servillo a capo della Terapia intensiva del Policlinico. «Ho curato tutti i miei pazienti - spiega D'Amato - con eparina, cortisone (non subito ma dopo 3-4 giorni dall'inizio della sintomatologia e non negli asintomatici che non hanno necessità e non devono avere nulla). Antibiotici nel caso la febbre non va via e controllo costante della saturazione di ossigeno».
«Dalla mia esperienza nelle tre fasi della malattia (virale, infiammatoria e polmonare) - avverte Fraganza - è fondamentale il tempo». «Nella fase iniziale e negli asintomatici uso solo integratori come la lattoferrina liposomiale, la vitamina C anche ad alte dosi, la bioarginina, la vitamina D e antiossidanti che coadiuvano il mantenimento in efficienza del sistema immunitario. È importante che l'organismo sia messo nelle migliori condizioni per difendersi. Importante anche bere molto. Nei sintomatici che accusano malessere, febbre e tosse secca consiglio l'uso iniziale di tachipirina e di antinfiammatori non cortisonici (ibuprofene con controllo glicemico e pressorio e una protezione gastrica) e al quarto giorno un controllo Tac da ripetere se la tosse e soprattutto la febbre non vanno via. Serve anche una costante misurazione della saturazione di ossigeno. Se il sistema immunitario del soggetto colpito dall'infezione riesce a bloccarla, come avviene nella maggior parte dei casi, il decorso della malattia è benigno.
Essendo una malattia virale non uso antibiotici che aggiungo solo in una fase successiva intermedia per curare infezioni batteriche opportuniste. Se emergono alterazioni a livello polmonare con polmonite interstiziale bisogna andare in ospedale. Il cortisone va inserito in terapia prima dell'insufficienza respiratoria. In alcuni casi utilizziamo anche il Tocilizumab che serve per contrastare la tempesta citochinica (azione continua e incontrollata delle citochine, proteine deputate di norma ad avvisare le cellule del sistema immunitario di attivarsi in difesa dell'organismo ma che possono andare fuori controllo). L'eccessiva infiammazione porta a conseguenze locali e a tutto l'organismo, con il rischio di lesioni polmonari gravi e talvolta permanenti (fibrosi polmonare). Nella fase intermedia uso anche l'eparina a dose piena per contrastare le tromboembolie. L'unico antivirale utile è il Remdesivir ma negli Usa è in fase di approvazione un pillola con nuovi antivirali specifici. Io uso anche immunoglobuline aspecifiche».
La terza fase dell'infezione da Covid-19 è la più grave, caratterizzata da iperinfiammazione e danno d'organo localizzato quasi sempre ai polmoni. Si affronta con la ventilazione, prima non invasiva e poi in rianimazione senza troppi indugi. Fondamentale la perizia ed esperienza del rianimatore. «Da un punto di vista terapeutico - conclude Servillo - la ventilazione ha rappresentato il cardine terapeutico della polmonite. Ciò che ho sempre insegnato agli specializzandi ma che non avevo mai provato in cosi grande percentuale e con una tale platea variegata di pazienti è stato confermato: il modo in cui effettui al ventilazione di un paziente è lo spartiacque tra sopravvivenza e mortalità. Pronazione, diuresi forzata e ventilazione con bassi volumi e alta pressione in aggiunta alla terapia di base danno i migliori risultati. I farmaci? Giocano un ruolo di secondo piano soprattutto quando la polmonite è già esplosa. Probabilmente sono utili in fase precoce. Fondamentale continuare la ventilazione nel decorso riabilitativo».