Quante sono le varianti, quali le più pericolose, quali quelle potrebbero arrivare nel futuro prossimo. E soprattutto: quanto durerà questo susseguirsi di allarmi per le mutazioni del virus Sars-Cov2. Per capirlo siamo andati a consultare i documenti ufficiali e abbiamo parlato con il professor Fabrizio Pregliasco, virologo e Direttore Sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano.
Cos’è una variante?
Le varianti sono un fatto naturale dell’evoluzione dei virus e hanno natura diversa, a seconda della loro modalità costitutiva.
Come funziona la replicazione di un virus?
I virus non hanno un’intelligenza ma confermano i principi darwiniani del caso e della necessità, quindi dell’elemento genetico legato all’ambiente. Il virus si adatta ma non in modo intelligente. Un buon esempio per spiegarlo potrebbe essere la creazione di un cocktail: ne esistono diverse versioni, magari all’inizio sono stati fatti molti tentativi per avere una buona ricetta – alcune erano meno buone di altre – poi sono rimaste solo le versioni più degustabili della bevanda. Pensate ad esempio al Negroni e al Negroni cosiddetto “sbagliato”: entrambi sono buoni, ma il secondo è una variante nata probabilmente dal caso. E a sua volta ne esistono molte altre “varianti”, sicuramente in origine non tutte erano egualmente buone, poi sono sopravvissute solo le migliori. Per i virus accade lo stesso e nei fatti sopravvivono solo le varianti che hanno caratteristiche vantaggiose. E torniamo ancora da un lato al caso, dall’altro al concetto darwiniano di necessità.
Quante varianti del Covid-19 esistono?
Il censimento viene fatto quotidianamente e l’archivio è consultabile nel database Gisaid: esistono almeno 900 varianti. La maggior parte di queste sono simili tra loro, spesso non sono particolarmente preoccupanti e servono solo da un punto di vista epidemiologico, in modo da capire le diverse catene di contagio: è come un’auto che ha uno stesso modello in più colori.
Sull’intero alfabeto greco, quali sono le varianti più preoccupanti?
A livello scientifico vengono inquadrate con le prime quattro lettere dell’alfabeto greco e sono quelle che abbiamo imparato a conoscere come la variante Inglese, Sudafricana, Brasiliana e Indiana. Il discrimine è la contagiosità: l’alfa – la variante inglese, ad esempio – è circa 50 volte più contagiosa dell’originale “One”. Per altro la stessa forma originaria del Coronavirus, detta “One”, aveva a sua volta un secondo ceppo fin dall’inizio – classificato come C654D – che era già più contagioso. Per la Lambda vale lo stesso: la si tiene sotto osservazione per capirne la contagiosità e il comportamento. Tutto questo, però, senza una intelligenza insita nel virus: si tratta di casualità rispetto all’ambiente. Questo è confermato dal fatto che varianti particolarmente contagiose ma nate in Paesi diversi – anche molto lontani – hanno comunque caratteristiche comuni.
Perché la variante Lambda preoccupa?
La Lambda è stata isolata in Perù nel novembre dello scorso anno. È particolarmente contagiosa ma la diffusione per ora è limitata. Negli Stati Uniti sono stati identificati 1060 casi. Il dato che preoccupa è la maggiore resistenza ai vaccini, sebbene non ci sia una perdita totale di efficacia.
Quanto persisteranno le varianti del Covid-19?
Le varianti continueranno a esserci finché il virus circolerà nel mondo. Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede che siano distribuiti i vaccini anche nei Paesi più poveri prima di somministrare un eventuale terzo o quarto richiamo. Più il virus circola e più ci saranno le varianti. Sul lungo periodo però la tendenza – in virtù del fatto che i virus sono a tutti gli effetti dei parassiti “assoluti” che hanno bisogno di un contesto adeguato in cui insediarsi – sarà di depotenziamento del Covid19, riducendone gli effetti alle forme di un raffreddore.
Sarà necessario fare ulteriori richiami del vaccino?
L’Agenzia Europea per il Farmaco e la Federal Drug Administration statunitense stanno già prevedendo l’approvazione in tempi brevi e la messa in commercio di vaccini aggiornati – si parla di due o tre mesi – esattamente come già accade ogni anno con l’influenza normale.