Disfunzioni del pavimento pelvico: quando il dolore non è mentale

Colpito un quarto della popolazione adulta, specialmente le donne

Disfunzioni del pavimento pelvico: quando il dolore non è mentale
Disfunzioni del pavimento pelvico: quando il dolore non è mentale
di Roberta Avallone
Giovedì 26 Gennaio 2023, 12:18 - Ultimo agg. 15:09
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Le disfunzioni del pavimento pelvico colpiscono un quarto della popolazione adulta, specialmente le donne e si verificano quando il pavimento pelvico perde la sua tonicità, ovvero quando le fibre muscolari e del tessuto connettivo si allungano e assottigliano. Le patologie del pavimento pelvico sono molto diffuse nonostante non sia un argomento trattato, questo anche per via del fatto che chi ne è affetto prova imbarazzo nel parlarne con un medico. Tuttavia non farlo e non agire subito sul problema può portare a gravi conseguenze. È la storia di Valentina Russo, 25enne napoletana, da sempre una persona attiva, innamorata dello sport e dello yoga. 

«Tutto è iniziato nel 2020 quando inizio a manifestare problemi intestinali, soprattutto quando mi sforzavo nell'attività fisica nonostante non avessi mai avuto problemi di questo tipo. Essendo un periodo particolare per via del Covid era difficile anche prenotare una visita medica e quindi chiamai il mio medico di base che mi ha prescritto delle analisi per scoprire se avessi intolleranze o se fossi celiaca». Dalle analisi di Valentina risulta una media intolleranza al lattosio che però non giustifica i problemi intestinali che nel frattempo continuano a prescindere dal cibo

«Inizio a sentirmi sempre più debole e nel frattempo ritorno dal mio medico di base che a questo punto pensa possa essere colite ulcerosa o morbo di Crohn. Nel 2021 proseguo con altre analisi che risultano negative ma continuo a perdere peso e a sentirmi peggio. A questo punto decido di sottopormi a una colonscopia in cui risulta che ho un intestino tortuoso ma il medico mi assicura che era solo conformazione fisica e niente di cui preoccuparmi». 
Valentina prosegue con altri esami, tra cui una biopsia, la cui diagnosi è flogrosi cronica acuta di natura aspecifica

«A questo punto mi diagnosticano un colon irritabile e che quindi sostanzialmente il problema era di natura psicosomatica. Dopo altre analisi inizio una cura che mi debilita ulteriormente, anche perché mi ammalo anche di Covid, per cui interrompo la cura e ne ricomincio un'altra a base anche di diazepam, utilizzato di solito per combattere l'ansia, nonostante io insistessi con i medici di non essere una persona ansiosa. I farmaci, infatti, mi abbattono più del normale e scelgo di mia spontanea volontà di interrompere con le cure». 

A giugno 2022 inizia ad esserci la svolta, Valentina si reca dal ginecologo per un controllo di routine che però svela già dall'ecografia qualcosa che non va. «Mi è stato consigliato di andare da un colonproctologo e nonostante ormai fossi senza speranza la visita si conclude con la giusta diagnosi che risulta ancora più evidente dopo una defeco-rm - in grado evidenziare possibili alterazioni della pelvi (rettocele, perineo discendente), e trattarle prontamente -, effettuata a settembre del 2022: rettocele anteriore, con intussuscessione retto rettale e medio distale, il tutto causati da una disfunzione del pavimento pelvico di natura genetica ovvero la sindrome del perineo discendente».

«Le mie condizioni di salute peggiorano ancora di più a settembre quando non riesco quasi a stare più in piedi.

Ad ottobre finalmente mi opero con un intervento di chirurgia con metodo Starr, una tipologia non troppo invasiva che mi ha consentito di riprendermi in tempi relativamente breve, tanto che dopo due giorni ero già fuori dall'ospedale».

A questo punto Valentina spera di poter tornare alla vita di tutti i giorni ed effettivamente ritorna a prendere peso e a condurre una vita normale ma «proprio quando pensavo che tutto stesse procedendo per il verso giusto, mi rendo conto che c'erano alcuni sintomi nuovi, che non avevo mai avuto prima e che mi stavano arrecando non poco fastidio. Inizialmente pensavo fossero semplicemente strascichi post operazione, ma dopo tre mesi, vedendo il peggiorare della cosa, ho deciso di entrare in contatto spontaneamente con una dottoressa specializzata in riabilitazione pelvica, scoprendo di essere affetta da vulvodinia. Se non ne avessi parlato non l'avrei scoperto». In Italia sono circa 440 mila le donne in età compresa tra i 20 e i 40 anni che soffrono di vulvodinia, ovvero una patologica cronica provocata da un'infiammazione delle terminazioni nervose della vulva. È una patologia che incide profondamente sulla qualità della vita, minando la sicurezza e la percezione di sé ma che grazie a cure a base di integratori e terapie specifiche come la Tecar, seguite poi da una riabilitazione del pavimento pelvico può migliorare.  

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«Non fare diagnosi tempestivamente - afferma il dottor Adolfo Renzi, responsabile della unità operativa di chirurgia laparoscopica e mini-invasiva dell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli - vuol dire lasciare che le pazienti siano costrette a convivere per molto tempo e inconsapevolmente con questi sintomi e, allo stesso tempo situazioni come parto e sforzi ripetuti, finiscono per danneggiare nel corso degli anni anche i muscoli del pavimento pelvico. A quel punto la risoluzione del problema, seppur sempre possibile, può risultare molto più complessa e con minori possibilità di successo. Da qui l'importanza di rivolgersi di al medico sin dalla prima manifestazione dei sintomi come quelli riportati dalla paziente ed effettuare una visita proctologica specialistica al più presto».

L'appello di Valentina è quello di «parlare, perché il dolore non esiste solo nella propria testa e soprattutto non è normale. Non vergognatevi perché altrimenti finite ad abituarvi in una dimensione dove vivete solo nella misura del vostro dolore. Fidatevi di voi stessi e del vostro corpo e se c'è una voce nella vostra testa che vi dice che forse c'è di più allora ascoltatela, chiedete un secondo parere medico, effettuate realmente una consulenza psicologica per capire se effettivamente possa esserci una base psicosomatica, e ripeto, parlatene perché se non parli, non esisti e sei appunto solo un nome su una cartellina medica da archiviare».

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