Effetto Covid sui minorenni: «Attenti a ​ipocondria, apatia, difficoltà di concentrazione e disturbi del sonno»

Effetto Covid sui minorenni: «Attenti a ipocondria, apatia, difficoltà di concentrazione e disturbi del sonno»
Venerdì 30 Aprile 2021, 23:55
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Ipocondria, apatia, irritabilità, rabbia, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno e autolesionismo sono i sintomi più riscontrati a un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19. A soffrirne di più sono i minorenni, ma in moltissimi casi anche gli adulti. «La pandemia ha avuto un effetto significativo sul benessere psicologico di tutti noi: nel mio settore si è registrato un incremento notevole di nuovi casi, e una significativa regressione nei pazienti già in cura», spiega Valeria Giamundo, psicoterapeuta dell’età evolutiva, esperta di abuso e maltrattamento all’infanzia e genitorialità e docente presso l’Humanitas, professionista privata con studio a Roma e in penisola sorrentina.

«Negli adulti - continua - si riscontrano sintomi ansioso-depressivi, ipocondria e tratti fobico-ossessivi (conseguenti anche ai lavaggi continui, alle sanificazioni ripetitive e compulsive). I reduci del Covid, coloro che hanno vissuto l’esperienza del ricovero, vanno incontro a disturbi dell’adattamento, una risposta traumatica ricorrente a seguito di ospedalizzazioni; questa potrebbe risolversi nei 6 mesi successivi o esitare invece in quadri post-traumatici più gravi, sindromi depressive, disturbi d’ansia e altri sintomi psicologici persistenti».

Gli effetti negativi del confinamento si riscontrano anche sulle famiglie, ove le dinamiche comunicativo-relazionali appaiono esasperate dalle limitazioni con aumento di conflitti e disaccordi: «L’impatto maggiore si è registrato sui ragazzi, che manifestano molteplici sintomi: dall’ansia strettamente legata al timore del contagio, ad apatia, ipocondria, irritabilità, rabbia, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno e anche autolesionismo (una modalità che, a mio parere, è tesa a rompere l’ottundimento affettivo e a sentirsi vivi). La maggior parte di questi malesseri è connessa alle conseguenze secondarie del Covid; ovvero alla condizione d’isolamento, alla mancanza della rete amicale, delle attività sportive e ricreative, nonché (per molti) anche all’uso eccessivo dei social», spiega Giamundo. 

«Gli adolescenti più fragili - analizza - hanno trovato nel confinamento un apparente senso di sicurezza, e nella Dad una soluzione; più che mai per loro la scuola dovrebbe offrirsi come opportunità per vincere tali sfide di crescita, costituendo un vero e proprio laboratorio relazionale, in cui sperimentarsi, risolvere conflitti, e superare difficoltà e insicurezze. Adagiati nella loro comfort zone, legittimati anche dai dispositivi di legge che impongono l’isolamento, riferiscono nelle mie sedute un apparente benessere e un timore a riprendere la vita precedente. Sono questi, i ragazzi che non vogliono ritornare alla normalità, che devono preoccuparci di più».

Il giudizio sulla Dad resta negativo: «È una soluzione fallimentare per il raggiungimento degli obiettivi formativi, non solo di apprendimento - denuncia Giamundo - Mirata a garantire soprattutto la continuazione del percorso “in-formativo”, la Dad non è in grado di supplire la relazione, elemento essenziale dell’esperienza scolastica, tanto per l’allievo quanto per il docente. I miei pazienti lamentano difficoltà a seguire le lezioni, sia per le problematiche di connessione, che a causa degli atteggiamenti di molti scolari che disturbano continuamente le lezioni.

Molti fingono problemi di connessione per tergiversare e procrastinare l’inizio della lezione o per eludere l’interrogazione; alcuni si prendono gioco degli insegnanti; molti altri chattano durante le lezioni. Il tempo per le spiegazioni si riduce al minimo e aumenta così il carico di compiti da fare in autonomia; l’apprendimento viene demandato in buona parte agli studenti e alle loro capacità individuali; alcuni così rimangono indietro. Ma ciò è frustrante anche per gli insegnanti, che hanno bisogno di conoscere i loro allievi, guardarli in viso, osservarli per poter individuare la chiave d’accesso a ciascuno di essi e creare un dialogo che stimoli la partecipazione attiva alla didattica». 

Le ricadute sono gravi: «Disturbi dell’attenzione, disturbi dell’apprendimento, disabilità, bisogni emotivi speciali. Per questi ragazzi il potenziamento dei supporti tecnologici, che prima (nell’ottica di una didattica inclusiva) si connotava come opportunità, si è tramutata in danno; confermando che l’apprendimento e la formazione avviene mediante la giusta integrazione fra strumenti e relazione.  Va anche evidenziato che, nonostante il dispositivo di legge del 3 novembre 2020 contemplasse la possibilità di una frequentazione in presenza (come misura atta a garantire la formazione efficace) per gli studenti con patologie o disabilità certificate, solo pochi ragazzi hanno tratto vantaggio da esso. Vero è che le scuole sono collassate non riuscendo a gestire le conseguenze legate ai casi di positività. Mi chiedo se, però, non si potevano attivare altre soluzioni; per esempio educatori a domicilio e, ove possibile, gli stessi insegnanti di sostegno. La mancanza dell’interazione diretta, e dunque della dimensione relazionale della classe ha impoverito tutte le dimensioni del processo formativo, riducendo lo scambio a interazioni mediatiche che nulla hanno a che fare con la socialità e la crescita».

Per evitare che scuola e sanità collassino, dunque, servono programmi di supporto per il contenimento del disagio: «Le risorse pubbliche sono limitate e non sono (da sole) in grado di fronteggiare l’emergenza psicologica», chiosa Giamundo invocando programmi di sostegno o trattamenti psicoterapici post-pandemici che coinvolgano enti privati, per ottimizzare le risorse e offrire opportunità di cure psicologiche a tutti. «La terapia d’elezione in situazioni post-traumatiche è quella cosiddetta “trauma-focus-oriented”, ovvero focalizzata sul trauma, che prevede un ampio numero di tecniche (anche brevi) la cui efficacia è ampiamente documentata. Le istituzioni dovrebbero realizzare programmi d’intervento in convenzione con le scuole di psicoterapia territoriali, che offrono questa tipologia di trattamento sia nella forma individuale che di gruppo. Un percorso di psicoterapia nel settore privato, ha un costo elevato e difficilmente sostenibile per molti; noi terapeuti che operiamo nel privato, potremmo offrire sedute di psicoterapia a tariffe sostenibili per famiglie in difficoltà economica che non possono usufruire di un supporto nel servizio pubblico».

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