Un avviso di garanzia con l'imputazione di «omicidio del consenziente relativamente all'art. 580 del Codice Penale» è stato consegnato a Exit Italia. Ad annunciarlo è Emilio Coveri, presidente e fondatore di Exit Italia (Associazione italiana per il diritto a una morte dignitosa), associazione che da anni offre informazioni per ricorrere alla "dolce morte" in Svizzera.
L'avviso di garanzia riguarda il caso di una donna siciliana che ha appunto fatto questa scelta recandosi la scorsa primavera in Svizzera, dove è ricorsa al suicidio assistito alla clinica Dignitas. La donna era affetta «da una rara sindrome che le provocava fortissimi dolori e non le permetteva di stare in piedi», spiega Coveri all'Adnkronos Salute.
Alessandra è morta il 27 marzo nella casa dei suicidi. È morta in Svizzera, dalle parti di Zurigo, dove c'è una clinica, la Dignitas, che aiuta i suoi pazienti a smettere di vivere. Adesso, ancora una volta, la giustizia italiana tornerà a occuparsi di eutanasia. Perché quello che in altri Paesi è legale, aldiquà delle Alpi non lo è. Ma non solo. Nella vicenda di questa donna di 46 anni, insegnante di Paternò (Catania), sofferente nell'animo e nel corpo al punto da desiderare di non risvegliarsi più, ci sono aspetti che i magistrati vogliono chiarire.
Dalla procura di Catania è partito un avviso di garanzia alla volta di Torino. Il destinatario è Emilio Coveri, 68 anni, presidente di un'associazione, Exit Italia, che da anni propugna «il diritto delle persone a una morte dignitosa». Il diritto a «scegliere per sé». Il reato ipotizzato dal procuratore aggiunto Ignazio Ponzo e dal pm Angelo Brugaletta è l'istigazione al suicidio. Significa, in caso di colpevolezza, dai cinque ai dodici anni di carcere. Ma Coveri sventola il provvedimento (un invito a presentarsi a Catania il 25 luglio per un interrogatorio) come una bandiera. «Me lo aspettavo - dice - e ora mi onoro di essere indagato come Cappato. Anche se io, a differenza sua, non ho fatto nulla di eroico». Il riferimento è a Marco Cappato, l'attivista radicale che nel 2017 portò Dj Fabo in Svizzera, alla Dignitas, per l'ottenimento dell'eutanasia: «Un eroe che ha compiuto un gesto d'amore e compassione. E poi si è autodenunciato».
L'insegnante era tormentata dalla depressione e da una nevralgia cronica, la sindrome di Eagle. Da un paio d'anni non esercitava più. I familiari le erano sempre stati vicino. Ma quando partì per la Svizzera, il 25 marzo, furono colti di sorpresa: lo seppero per caso, da un comune conoscente che aveva incontrato la donna in aeroporto. Ormai il meccanismo era scattato. Dalle indagini di carabinieri e polizia postale risulta che Coveri e Alessandra si tenevano in contatto fin dal 2017. Telefonate, e-mail, sms dove gli inquirenti rilevano, tra l'altro, «sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità, anche etica, della scelta suicidiaria». Il 5 febbraio 2018 l'insegnante prese la tessera di Exit. Tredici mesi dopo lasciò che la addormentassero per sempre. I parenti, sconcertati, hanno presentato una denuncia. I pubblici ministeri hanno subito tentato - ma un giudice si è opposto - di bloccare i beni della donna nel timore che, oltre a versare i 6.200 euro per l'assistenza, avesse intestato a qualcuno il resto dei suoi averi. Del resto - sostiene la procura - le leggi svizzere vietano l'eutanasia «a fini egoistici», come quelli finalizzati ad appropriarsi di patrimoni «di chi è istigato al suicidio».
Inoltre pretendono che venga praticata solo nei casi di «patologie incurabili, handicap intollerabili, dolori insopportabili»; e Alessandra, sia pure sommando depressione e nevralgia, non poteva essere considerata una malata terminale. Per il momento un giudice ha concluso che l'insegnante sapeva quello che stava facendo e che la Dignitas si occupò del caso con ogni scrupolo. Ora è entrato in scena il torinese Emilio Coveri. Si vedrà. Nel frattempo l'esponente radicale Silvio Viale invoca l'intervento del Parlamento per «legalizzare anche in Italia l'eutanasia volontaria». «Non è più tollerabile - osserva - che le persone debbano recarsi in Svizzera per ottenere la pietosa e generosa assistenza di associazioni di volontariato come Dignitas».
Ultimo aggiornamento: 7 Luglio, 14:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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