Fumo passivo in ufficio, il dipendente va protetto

Fumo passivo in ufficio, il dipendente va protetto
di Ettore Mautone
Martedì 15 Gennaio 2019, 09:55
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C'è un rapporto causa-effetto tra il fumo passivo di sigarette e lo sviluppo del cancro. Un danno risarcibile se il datore di lavoro non ha messo in atto misure idonee a tutela della salute del suo dipendente. Ciò vale anche se la genesi del tumore è avvenuta prima che in Italia vi fosse una norma specifica (la legge Sirchia, in vigore dal 2005) che vieta tassativamente il fumo di sigarette negli spazi pubblici e nei luoghi di lavoro. A stabilirlo è la Cassazione che con una recente sentenza conferma la condanna per Poste italiane, che dovrà risarcire con 174mila euro un ex dipendente, oggi novantenne, che aveva prestato servizio per 14 anni (dal 1980 al 1994) ammalatosi di tumore alla laringe nel 2000. Poco importa se la malattia sia insorta a distanza di molti anni dall'esposizione al cancerogeno e 5 anni prima che una legge vietasse il fumo nei luoghi chiusi. La vicenda giudiziaria è durata alcuna anni e si è conclusa con l'ordinanza della Suprema corte che ha respinto il ricorso di Poste italiane confermando i primi due gradi di giudizio della magistratura di Messina cui il pensionato si era rivolto. Un cancro rimosso chirurgicamente ma causa di una grave invalidità. Lo sviluppo della patologia è stato correlato con l'esposizione per 14 anni al fumo passivo in un piccolo locale poco areato in cui si fumava senza limitazioni.

 

LA GIURISPRUDENZA
In Italia, sulla scia di quanto consolidato negli Stati Uniti, già nel 2005 era stata emessa una sentenza che puniva un produttore di sigarette per la morte di un fumatore. La prima sezione civile della Corte di appello di Roma condannò l'Ente tabacchi italiani (Eti) a versare duecentomila euro ai familiari di un uomo morto nel 1991 che nel 1994 iniziarono il contenzioso puntando il dito sulla mancata informazione ai consumatori dei pericoli derivanti dal fumo. Quindi il fumo di tabacco è giunto più volte in Cassazione con le prime pronunce che hanno indotto i produttori a inserire chiare diciture sui pacchetti da cui far prevalere, in eventuali giudizi, il contribuito determinante del fumatore alla produzione del danno.

IL FUMO PASSIVO
Anche sul fumo passivo gli obblighi che ha l'azienda e le relative responsabilità sono stati progressivamente chiariti dalla Cassazione facendo leva prima, negli anni Ottanta, sul principio generale di tutela della salute previsto dall'articolo 32 della Costituzione. Quindi entrando nel merito delle successive norme. Con la sentenza n. 4211 del 3 marzo 2016, viene per la prima volta confermato il risarcimento del lavoratore per danno biologico e morale. Quel che è certo è che il fumo passivo è stato classificato come agente cancerogeno noto per l'uomo dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti sin dal 1993 e dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Oms nel 2002. Nel nostro paese la prima norma per la sicurezza sul lavoro che lambisce il problema è la 626 del 1994 ma dal 2008 viene chiarito che il datore di lavoro è tenuto ad assicurare la salubrità degli ambienti e a proteggere la salute dei lavoratori prevenendo l'insorgere di patologie comprese quelle che non derivano dai soli processi produttivi (come la presenza di fumo di tabacco). E così è ancora la Cassazione, negli ultimi 10 anni, a chiarire che non basta l'invio di circolari e direttive ma serve una vigilanza attiva.

IL DANNO
Ma cos'è esattamente il fumo passivo? «Si tratta dell'inalazione involontaria da parte di non fumatori di sostanze nocive provenienti da sigarette fumate da altri individui - avverte Alessandro Sanduzzi, direttore della Clinica pneumologica e scuola di specializzazione in malattie respiratorie, dell'Università Federico II, Napoli - quantità elevate di fumo passivo in luoghi chiusi e non areati determinano gli stessi danni del fumo attivo a carico dell'apparato respiratorio (enfisema, broncopneumopatia cronica ostruttiva, cancro a polmone, laringe, vescica, pancreas, seno e utero) e all'apparato cardiovascolare». Negli Usa si calcola che causi ogni anno da 40mila a 60mila morti. In Italia è di circa 3 mila morti all'anno. Secondo stime dell'Oms si arriva a oltre settecentomila decessi ogni anno nei paesi industrializzati. In pratica L'unica differenza tra il rischio di ammalarsi che corre un fumatore rispetto a un non-fumatore è dato dalla quantità di fumo e di nicotina che viene respirata. Dal 1992 l'Agenzia statunitense per la protezione ambientale (Epa) ha ufficialmente etichettato il fumo passivo come carcinogeno umano di classe A.
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