Terza dose, Ricciardi: «Togliamo il Green pass a chi rifiuta il richiamo»

Terza dose, Ricciardi: «Togliamo il Green pass a chi rifiuta il richiamo»
Terza dose, Ricciardi: «Togliamo il Green pass a chi rifiuta il richiamo»
di Mauro Evangelisti
Domenica 14 Novembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 11:00
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Siamo nella fase cruciale della pandemia, l’Italia sta resistendo meglio di altri Paesi europei, ma bisogna mantenere alte le difese. «Non ci sarà il lockdown, neppure parziale, non siamo nelle condizioni delle nazioni del Nord del continente», dice il professor Walter Ricciardi, consulente del Ministero della Salute, che però mette in fila una serie di interventi per proteggere l’Italia dall’avanzata della quarta ondata che arriva da Est: sanzioni più rapide nei confronti di medici e infermieri no vax; analisi, Asl per Asl, per verificare se tra gli assistiti di un determinato studio medico ci siano molti non vaccinati per correre ai ripari; spingere, in modo energico, sulle terze dosi, collegandole al Green pass: chi non completa con il richiamo il ciclo vaccinale riceve prima una ammonizione e, se dopo due o tre mesi ancora non si mette in regola con l’iniezione di rinforzo, la certificazione verde perde di validità. 

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Professore, un caso per tutti: Aprilia, in provincia di Latina, con 60mila abitanti, ha una incidenza di 450 positivi. Altissima. Sarà una combinazione, ma pochi giorni fa nella cittadina sono stati sospesi tre medici di base no vax.
«Questo è un problema serio in tutta Italia.

Quantitativamente il numero di medici e operatori sanitari in genere che rifiutano il vaccino non sono molti, ma possono causare danni enormi perché dispongono di un’ampia capacità di influenzare i pazienti, i propri assistiti. Bisogna continuare a prestare molta attenzione su questo fenomeno. I vari ordini dei medici devono agire, e spesso lo fanno. Ma le procedure vanno rese molto più snelle. Prendiamo un medico di base che non si vaccina e che suggerisce ai propri assistiti di non vaccinarsi: prima c’è la verifica, poi la sospensione, infine il medico fa ricorso e nel frattempo continua a lavorare e a fare danni. Troppo tempo prezioso perso. Inoltre, può essere utile che ogni Azienda sanitaria svolga delle ricerche per comprendere se tra gli assistiti di un determinato medico di base vi siano molti non vaccinati. Se serve, deve contattare queste persone, spiegare loro cosa stanno rischiando». 

Altro nodo: è chiaro che senza richiamo, dopo sei mesi, la protezione del vaccino diminuisce. Cosa si può fare per spiegare agli italiani che è urgente ricevere la terza dose?
«Prima di tutto vanno usati gli strumenti della informazione e della persuasione. Va chiarito agli italiani che a 180 giorni dalla seconda dose sei sì protetto dalle conseguenze gravi della malattia, ma molto meno dall’infezione. Questo ormai è assodato. Se il numero dei contagi aumenterà e se la campagna della terza dose andrà a rilento, allora sarà giusto pensare a strumenti più incisivi».

Nel Lazio l’assessore alla Salute, Alessio D’Amato, ha proposto un sistema di ammonizione: a sei mesi dalla seconda dose, avvicinando il Green pass al lettore ottico dovrebbe esserci come risposta il colore giallo, una sorta di ammonizione per ricordare che è necessaria la terza iniezione.
«Questa è una buona idea. Secondo me sarebbe necessario, subito dopo la scadenza dei sei mesi dalla seconda dose, proprio un sistema di avvertimento. Se nei successivi due o tre mesi il cittadino non si è ancora presentato per ricevere la terza dose, allora va valutata l’ipotesi di sospendere la validità stessa del Green pass». 

Per quali categorie, oltre agli operatori sanitari, la terza dose dovrà essere necessaria?
«Per tutti coloro che lavorano a contatto con i fragili. Ad esempio gli insegnanti, visto che i bambini non sono protetti in quanto non possono essere vaccinati».

Lei è stato il primo a proporre di legare il Green pass solo alla vaccinazione o al superamento dell’infezione, eliminando la scorciatoia del test antigenico.
«Penso sia necessario discuterne e, come vede, il dibattito ha in effetti preso forza. La mobilità sociale è in aumento, allo stesso tempo in Europa c’è un incremento notevole dei casi positivi. Un Green pass rafforzato aumenterebbe le nostre difese».

C’è un’altra opzione sul tavolo: Green pass rafforzato per le attività ludiche e ricreative come il ristorante o lo stadio, Green pass nella formula attuale, che prevede anche il tampone, per i posti di lavoro.
«Questo può essere un compromesso intelligente. Così si potrebbe trovare un equilibrio fra la necessità di arginare la diffusione del virus e quella di garantire l’operatività del Paese».

La sorprende vedere che Paesi del Nord Europa ora stiano ricorrendo a chiusure, limitazioni, perfino a un lockdown parziale come in Olanda? Succederà anche in Italia?
«Con la variante Delta questa pandemia è cambiata, una persona infetta ne contagia in media altre sette. Per fermarla dovremmo raggiungere la vaccinazione della quasi totalità della popolazione. I casi continueranno ad aumentare, ma per fortuna l’Italia ha previsto per tempo sistemi di prevenzione come il Green pass e il meccanismo dei colori tarato sull’andamento dei ricoveri. Se serve, si può ricorrere anche a zone rosse locali. Altre nazioni europee, invece, stanno chiudendo le stalle quando i buoi sono già fuori. In Italia non ci sarà il lockdown». 

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