Lockdown, la sociologa: «A marzo eravamo paralizzati, adesso arrabbiati. Frustrazione e rabbia dominano sulla ragione»

Lockdown, la sociologa: «A marzo eravamo paralizzati, adesso arrabbiati. Frustrazione e rabbia dominano sulla ragione»
di Rosario Dimito
Venerdì 6 Novembre 2020, 12:34 - Ultimo agg. 16:38
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«Se la ragione non porta frutti ci si affida agli istinti». Gli italiani che entrano da venerdì 6 nel secondo lockdown, sia pure scaglionato in tre fasce con gradi di libertà differenti, sono comunque tutti frastornati. La gente è più scossa nella seconda ondata o nella prima? «A marzo eravamo paralizzati, adesso siamo incazzati. Durante il primo lockdown, l’immobilità sociale comportò un senso di profondo smarrimento, non sapendo come muoverci siamo rimasti immobili, animali che si fingono morti per salvare la pelle, ci siamo messi in stand-by, protesi a fare mente locale; come quando si raccolgono le idee prima di scrivere un tema», spiega Chiara Narracci, romana, una delle maggiori esperte italiane di sociologa familiare, molto nota e ricercata da famiglie ma anche singoli che si rivolgono a un tecnico per trovare una via d’uscita a situazioni di sconforto.

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«Vengono da me, sperando che gli dia la terapia giusta per stare a casa, ma io posso solo alleviare il disagio interiore», spiega la Narracci che si trova a gestire non solo i romani che trovandosi nell’area gialla, godono di maggiori libertà durante il giorno. «Mi chiamano in chat anche da Codogno, Vo’ Euganeo, Lodi, Diamante,  per citare solo alcuni dei luoghi da cui ricevo richieste di aiuto».

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L'Italia della prima ondata


«In quel tempo sospeso si è fatto un bilancio della qualità della propria vita e si è ridato un ordine alle priorità, prima fra tutte la salute: la paura di perderla ha attivato il senso di responsabilità sociale, con il quale, con uno spirito altruistico abbiamo dato vita a comportamenti virtuosi grazie ai quali abbiamo gestito un mondo emotivo altamente destabilizzato» chiosa la sociologa. «Il mondo emotivo non ha preso il sopravvento perché la ragione è riuscita a contenerlo e a gestirlo. La ragione ci ha fatto sentire persone migliori in grado di gestirsi anche in pandemia», puntualizza la Narracci.


«Siamo stati uniti di fronte al nemico invisibile, abbiamo tifato gli uni per gli altri, cantato e messo striscioni alle finestre, applaudito medici e tutti coloro che lavorano in prima linea, pregato e pianto per i tanti morti e per l’impossibilità di abbracciare chi è rimasto. In quel tempo ci siamo anche illusi di poter continuare ad essere più attenti al prossimo e all’ambiente in futuro». Questa l’Italia fotografata dal punto di vista delle emozioni, sensibilità, paure, rassegnazioni della prima ondata.

Poi da fine maggio tutto è cambiato perché dal 3 giugno siamo tornati in libertà, che ci siamo però giocati per troppa irresponsabilità, spudoratezza, senso della sfida.
«In realtà, finita l’emergenza hanno preso il sopravvento le vecchie abitudini, giustificate dalla fretta di tornare a vivere - è la chiave di lettura della specialista dei comportamenti - sull’onda di quell’entusiasmo è emerso il desiderio di perdere il controllo; questa estate vi è stato un incremento non solo nel consumo di alcool e droga ma anche nel mondo delle trasgressioni sessuali. Allentata la tensione è emerso il bisogno di evasione anche perché la minaccia di un nuovo lockdown era già reale». Già verso fine estate con la risalita lenta dei contagi, si è di nuovo materializzato lo spettro delle chiusure.

Rabbia e frustrazione 


«A distanza di mesi il senso di frustrazione e la rabbia che ne consegue dominano sulla ragione, che oggi è usata per giustificare i comportamenti non virtuosi dal momento che quelli virtuosi non hanno portato i risultati sperati» spiega la Narracci. «Ecco che le persone disilluse dai vantaggi di poter essere altruiste si ritrovano ed essere egoiste, protese a difendere quel poco che gli è rimasto, siamo sempre più chiusi in noi stessi tanto da essere meno accoglienti anche all’interno dei nostri piccoli nuclei familiari. In questo clima prosperano violenti e negazionisti». Come viviamo il futuro? «Travolti dall’istinto di sopravvivenza si guarda più alla vita, ne è la prova il cambio di conta: prima valevano i morti ora gli asintomatici, prima si volevano proteggere le fasce deboli ora le si vogliono rinchiudere. Ciò che non si è mai spento è un senso di abbandono, perché se dall’alto arriva lo stop ci si aspetta che dall’alto arrivi il segnale di via e non per una finta partenza che fa solo bruciare tempo, nervi e soldi», conclude la Narracci.

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