Mal di testa, l'emicrania è donna, più problemi a lavoro e a casa: uomini “risparmiati” fino ai 26 anni

Mal di testa, è donna l'80% di chi ne soffre, uomini risparmiati fino ai 26 anni I consigli
Mal di testa, è donna l'80% di chi ne soffre, uomini “risparmiati” fino ai 26 anni I consigli
Giovedì 12 Dicembre 2019, 14:14 - Ultimo agg. 19:03
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Condannate al mal di testa, all'emicrania, al "cerchio" che stringe la fronte. L'emicrania è donna. E proprio le donne, che sono le più colpite e anche più precocemente, si curano di meno. Eppure la malattia le fa sentire maggiormente debilitate rispetto agli uomini, soffrono in misura maggiore delle forme croniche, gli attacchi sono più lunghi e i condizionamenti sono maggiori, sul lavoro come a casa e nella gestione dei figli. Questo il quadro che emerge dalla ricerca del Censis, «Vivere con l'emicrania», realizzata con il sostegno delle aziende Eli Lilly, Novartis e Teva.

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Dalla ricerca, condotta su 695 pazienti dai 18 ai 65 anni con diagnosi di emicrania e con un focus sulla cefalea a grappolo, emerge che l'universo femminile è penalizzato sia per l'età di esordio (in media a 21,4 anni di età, contro i 26,1 anni degli uomini), sia per la diagnosi. Se oltre la metà (58,9%)dei pazienti si rivolge al medico entro un anno dalla comparsa dei sintomi (gli uomini più delle donne), il 20,7% aspetta più di cinque anni. Sono proprio le donne a indugiare maggiormente. Il tempo medio per arrivare a una diagnosi è di 7,1 anni: 7,8 anni a livello femminile, solo 4,1 anni in ambito maschile.


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«Quello che emerge - rileva Ketty Vaccaro, del Censis - è anche una condizione di sottovalutazione sociale della patologia che talvolta coinvolge le stesse persone che ne soffrono, che ci mettono un pò di tempo ad acquisire consapevolezza che hanno una malattia». La malattia può rimanere quindi non diagnosticata a lungo: il 28,1% dei pazienti ha avuto la diagnosi entro un anno dai sintomi, il 30,5% tra 2 e 5 anni, il 23,4% più di dieci. «L'emicrania è un dolore senza materia, non si vede e non si può obiettivare», osserva Gianluca Coppola, ricercatore neurologo del Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico-Chirurgiche della Sapienza, Polo Pontino di Latina.

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Il riconoscimento della cefalea cronica come malattia sociale, potrebbe aiutare i pazienti a uscire dall'ombra, a non provare più una forma di vergogna nell'indicare la patologia come causa del loro disagio e dolore, che può portare a interruzioni nella vita lavorativa e privata, ma dopo il licenziamento di un testo alla Camera in aprile la proposta di legge attende la calendarizzazione in Senato ed è di fatto bloccata per la mancanza del presidente della Commissione Sanità. Secondo la senatrice Maria Rizzotti, che della Commissione fa parte, dopo il riconoscimento è importante che non rimanga una «scatola vuota».
Secondo Rizzotti «per implementare i centri cefalea ci vuole un investimento anche minimo».

 


 

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